Coop Lombardia dedica un documentario alle donne lavoratrici del calzaturificio Borri di Busto Arsizio, in provincia di Varese. Si intitola ‘Cara Sorella’ ed è stato ideato dalla giornalista e fotografa Silvia Amodio, con la coregia di Alvaro Lanciai. Al centro del cortometraggio c’è la condizione del lavoro femminile durante il ventennio fascista, anni in cui le donne erano costrette ad andare in fabbrica anche da bambine, spesso camminando per chilometri per raggiungere il luogo di lavoro per affrontare turni massacranti, in condizioni di lavoro non sempre salubri, tra utilizzo di solventi dannosi per la salute e presenza di amianto. Il calzaturificio Borri di Busto Arsizio, attivo dal 1892 al 1991, all’inizio del Novecento produceva 500 paia di scarpe al giorno e dava lavoro a circa 200 persone. In piena attività negli anni Sessanta contava oltre 600 lavoratori. Il negozio Coop si trova proprio adiacente alla fabbrica che è in attesa di essere riqualificata. Le lavoratrici di Busto Arsizio sono passate alla storia “della Resistenza cittadina per aver organizzato una manifestazione nel marzo del 1944 - ha ricordato Daniele Ferrè, presidente di Coop Lombardia — . Dopo tre giorni di proteste, ottennero la liberazione di una di loro, arrestata per rappresaglia dopo uno sciopero. A loro è dedicata la statua situata nel punto vendita in viale Duca d’Aosta, a opera dell’architetto Nicola Marinello”. Fondamentale per la realizzazione del cortometraggio è stato lo spunto preso dal libro di Nicoletta Bigatti ‘L’altra Fatica’, una raccolta di testimonianze sul lavoro femminile nelle fabbriche dell’alto milanese, tra il 1922 e il 1943. “Abbiamo tentato di trovare le operaie da intervistare, ma purtroppo non c’era più nessuno disponibile, la maggior parte erano decedute ed altre troppo anziane per affrontare una giornata di riprese”, ha spiegato Silvia Amodio. Così l’opera è diventata di fantasia. ‘Cara sorella’ racconta la storia di una ex lavoratrice che scrive appunto alla sorella. Nella lettera ricorda la vita di quando erano bambine e il lavoro in fabbrica. All’epoca l’obbligo scolastico era fino ai quattordici anni, ma la necessità di qualche soldo in più spingeva diverse famiglie a mandare le figlie a lavorare assai prima. “Le scappatoie previste dai testi legislativi abbassavano di fatto ai dodici anni la possibilità di accesso al mondo del lavoro - ha detto Nicoletta Bigatti - almeno per tutti gli anni Venti non erano rari i casi di bambine che trovavano un’occupazione già a nove, dieci anni”.
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Coop Lombardia