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Claudio Magris, le Polene per guardare oltre

Lo scrittore racconta gli occhi che guardano il mare

 CLAUDIO MAGRIS, POLENE. Occhi del mare (La nave di teseo, pag. 189, euro 20,00) All'inizio era un occhio, soltanto un grande occhio apotropaico che sulla prua di ogni nave che aveva ambizioni di solcare mari poco domestici sfidava con lo sguardo l'orizzonte.
    ''All'inizio c'è dunque un grande occhio sgranato e malevolo al pare delle perfide onde, simile a un pesce, con ciglia e sopracciglia irte come pinne sul dorso. L'occhio è l'uovo da cui usciranno le figure femminili protese a prua, i seni regali, le mani che cercano di velarli portando una rosa al petto, i volti composti, le labbra socchiuse''. Donne, non uomini, raccomanda Claudio Magris in questo suo affascinante esercizio, più poetico che saggistico, dedicato alle Polene. Perchè se anche esistono figure maschili che adornavano la prua delle navi e se pure sono spesso generali ed eroi, non hanno nulla del valore simbolico e appunto quasi metafisico, delle Polene. Queste donne infatti, racconta Magris corredando il volume di un apparato iconografico di rara bellezza, avevano assunto la funzione che in origine aveva l'occhio, ovvero lanciare lo sguardo verso quell'orizzonte che i marinai non potevano fisicamente e non volevano mentalmente, guardare. Solo in quanto estrema sintesi della femminilità nel loro corpo offerto al nulla, quasi sempre senza gambe, il seno nudo, lo sguardo fiero, sono state oggetti si ma fatti di sogno.
    ''Chi è in preda al sentimento del sublime, scrive Kant, è immoto e attonito - ed è forse quest'ultimo aggettivo, attonito, che dice la fisiognomica della polena, la sua trasparenza e il suo segreto, lo spavento l'incanto e la corposa dignità che li affronta. Lo sguardo della polena è stupore, da cui nasce la poesia, malia delle cose viste la prima volta o come fosse la prima volta''. Lei vede il mare oltre il mare, mentre loro, i marinai, si agitano sul ponte indaffarati e al suo sguardo vengono attribuiti poteri di seduzione che ovviamente, come sempre per le figure femminili, sono positivi e negativi insieme, nutrono il mito nella loro ambiguità. Così ad esempio, ricorda Magris, ''quando Gunter Grass, nel Tamburo di latta, racconta la storia grottesca e luttuosa di Noibe, la polena verde che semina rovina, riprende - senza rielaborarli con la sua radicale creatività - i topoi della tradizione: la sventura che colpisce, nei secoli, tutti coloro che mettono le mani sulla polena maledetta''. Fascinazione distruttiva o salvifica che sia, spesso legata alla smania di possederla, amore e morte dunque, la polena ha attraversato i mari e anche la letteratura: da Karen Blixen ai poeti sudamericani come Neruda, a Giuseppe Sgarbi, che ne hanno subito il fascino. Oggetto che diventa letteratura, legno che si nutre di versi e che con la sua estrema sensibilità è capace di guardare oltre come fa Claudio Magris in queste meravigiliose pagine. (ANSA).
   

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