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Flaiano giornalista e gli italiani

Flaiano giornalista e gli italiani

articoli 1941-1972 per scoprire l'oggi nelle analisi di ieri

ROMA 14 OTT, 14 ottobre 2019, 12:16

Paolo Petroni

ANSACheck

- RIPRODUZIONE RISERVATA

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ENNIO FLAIANO, ''L'OCCHIALE INDISCRETO'' (ADELPHI, pp. 280 - 15,00 euro).
    ''Quei discorsi erano contro ogni logica e ogni verità, ma apodittici, pieni di invettive e di fumosa oratoria.
    Sollecitavano il becero e l'intollerante che sonnecchiano in troppi italiani: quegli stessi che oggi danno ai partiti la colpa della nostra situazione, dimenticando quel che c'è stato prima'': parole non di oggi, ma scritte nel gennaio 1945 sul 'Risorgimento liberale' a proposito dei discorsi di Mussolini da uno scrittore e giornalista trentenne, capace di cogliere quei caratteri fondamentali e quel senso non effimero delle cose.
    Eppure Ennio Flaiano (1910-1972), intellettuale finissimo e scrittore di qualità, essendo anche uomo di notevole spirito e ironia per molti oggi è solo il creatore citato di continuo di tante battute o definizioni fulminanti (molte per di più apocrife) in cui si sintetizzano spesso caratteri e difetti nostri e del nostro paese. Insomma passa più o meno per un freddurista, mentre è un moralista che dietro un occhio ironico spesso fulminante, rivela un consapevole e dolente pessimismo, un amaro disincanto nella coscienza dell'assurdità e la vanità del mondo d'oggi sapendolo vedere in quel quotidiano che è specifico della scrittura giornalistica. Per capire allora chi sia stato davvero basta leggere la raccolta di articoli che dalle cronache del 1941 arrivano ai pezzi di costume primi anni '70 in cui ritroviamo, grazie al suo 'occhiale indiscreto' (titolo della sua rubrica sul Secolo d'Italia del 1945 e ora di questo volume a cura di Anna Longoni) il mettersi a fuoco proprio di quei caratteri e difetti, ma in pezzi articolati, in riflessioni intelligenti, anche quando c'è lo sberleffo leggero e feroce assieme o il sorriso sotto i baffi (che Flaiano del resto portava). E poi c'è la poesia e il dolore esistenziale e non solo dei suoi libri di narrativa e teatro.
    In tutti questi articoli, usciti su diverse testate, da quando c'era ancora la guerra, quel che colpisce è appunto che ci parlano e spesso parlano di noi con chiarezza ancora oggi,proprio per quella capacità di Flaiano di cogliere il senso profondo delle cose, così da poter scrivere quando una simile riflessione pareva quasi inaudita qualcosa che oggi ci appare contemporanea e assodata, ovvero che il fascismo per gli italiani ''è una malattia del sangue, sottile, antica, che colpisce anche le migliori famiglie'', che è bene ricordarci quando si cita come una battuta la sua celebre e cinica affermazione ''In Italia i fascisti si dividono in due: fascisti e antifascisti''. C'è quindi in queste pagine un ritratto dell'Italia e degli italiani negli anni Quaranta, tra guerra e dopoguerra, e poi dei primi anni Settanta, oramai in pieno boom economico (la grande crisi del 1973 sarebbe arrivata quando Flaiano era oramai da poco scomparso). Si comincia dagli Uomini poveri sulle strade della guerra che ''quando l'autocolonna è passata, sono un poco più impolverati di prima. E questo è tutto'', si passa per il racconto di un ex imboscato e vile che gli ''batte una mano sulla spalla, dicendo: Finalmente si respira. Quel che mi consola è che la mia libertà è diversa dalla sua'', e si arriva a riflessioni sulla parità uomo-donna, che si concludono con l'ironia che fotografa la realtà vera: ''Sicché può dirsi che la donna trova la sua realizzazione non nel matrimonio o nella maternità, ma nella vedovanza; quando cominci a vivere la sua vita, in modo maschile, cioè libero e fantastico''.
    Articoli e pagine ricchi di vere e proprie chicche che ognuno scoprirà leggendo (''Dall'inizio del secolo i critici italiani si sono sempre battuti per un teatro stabile; nessuno si è invece mai preoccupato di un pubblico stabile''), tra cui è facile identificare quello che pare quasi un godibilissimo capitolo a parte, esemplare del benessere raggiunto, composto dai pezzi che riguardano il boom e l'invasione dell'automobile: si va dalla curva che ''per l'automobilista è un'insidia che nasconde la pattuglia della stradale... e che va percorsa in modo da fra stridere i pneumatici sull'asfalto'' sino a uno swiftiano ''Manifesto del pedone'' all'inizio del quale si dice come sia ''chiaro che col tempo gli automobilisti dovranno essere eliminati'' e si descrive il percorso e i vari passaggi cruenti per arrivare a tale risultato.
   

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