"Denunciare è democrazia,
ma perdere tutto per averlo fatto significa essere trattati
peggio dei delinquenti". È un amaro sfogo quello di Tiberio
Bentivoglio, testimone di giustizia di Reggio Calabria, la cui
"colpa" è quella di essersi opposto alla logica del pizzo, aver
reagito alle richieste estorsive ed alle minacce con denunce
dettagliate allo Stato, facendo nomi e cognomi degli aguzzini e
rischiando di essere ucciso in un agguato.
Una catena di attentati ed incendi alla sua attività, la
"Sanitaria S'Elia", che "un tempo - ricorda Bentivoglio - era la
più rinomata dell'intera provincia", per i prezzi praticati e
per l'assortimento. Prosperità, però, che ha richiamato
l'attenzione delle cosche e portato alle richieste estorsive,
"tutte denunciate, indicando nomi delle persone sospettate e
costituendoci parte civile nei processi".
Tuttavia, il bilancio che Tiberio Bentivoglio è costretto
oggi a riferire, è che "si diventa più vittima dopo la
denuncia".
Bentivoglio, oggi, è titolare di un negozio di sanitaria sul
lungomare Matteotti, in affitto in un bene confiscato,
presidiato giorno e notte dall'Esercito. Le prime denunce
risalgono al 1992 e sono andate avanti nonostante gli attentati
e le intimidazioni, ma molte sono rimaste senza risposta,
persino nel riconoscimento di vittima di criminalità organizzata
in base alla legge 302 del 1990.
"Tutto tace - ha denunciato Bentivoglio incontrando stamani i
giornalisti nel suo negozio -. Eppure ci sono tutti i requisiti
con tanto di inchiesta della magistratura, non contro ignoti, ma
su sei persone che conosco e che spesso incontro in questa
città. E tra loro c'è anche un libero professionista".
I risarcimenti per gli attentati, dice Bentivoglio, "quando
sono arrivati, non hanno coperto nemmeno il 50% del danno
subito". Da qui la difficoltà di onorare i debiti contratti,
pagare i fornitori ed i dipendenti, che sono stati licenziati.
Il tutto "con conseguenze gravissime: gli assegni andati in
protesto e gli istituti di credito che non ci danno più fiducia
anche perché anche la nostra abitazione è stata messa all'asta,
ora sospesa dalla magistratura. Non avendo potuto versare
all'Inps i contributi, non possiamo avere il rilascio del Durc.
E questo ci impedisce di partecipare a qualsiasi gara d'appalto;
ciò significa non poter rivendere i nostri prodotti agli enti
pubblici, come facevamo un tempo".
Troppe le delusioni, troppe le risposte che non sono
arrivate, dice, "per colpa di una parte dello Stato che non ha
funzionato a dovere. Le risposte non date e le pratiche ferme
bruciano dentro di noi più dei proiettili. Se a breve non avremo
risposte - è l'amara conclusione di Tiberio Bentivoglio - molto
probabilmente saremo costretti a chiudere l'attività, ma nessuno
dovrà permettersi di dire che ci siamo arresi alla 'ndrangheta:
le vittime di mafia non siamo noi, ma quelli che pagano il pizzo
e con la loro omertà contribuiscono alla crescita della
criminalità".
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