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Zaki: cittadinanza italiana, la famiglia rilancia l'appello

Intervista all'ANSA a quasi un anno di carcere per lo studente. Arrestato in Egitto uno studente egiziano dell'Università europea

"Cittadinanza italiana per Patrick George Zaki". All'appello si unisce la famiglia dello studente egiziano dell'Università di Bologna detenuto al Cairo rivolgendosi, attraverso l'ANSA, alle istituzioni italiane a quasi un anno dall'arresto di Patrick. "La raccolta di firme online lanciata per chiederlo è davvero un'ottima iniziativa ma spero non resti solo una petizione, spero che accada presto. La famiglia si unisce a questo appello". Così la sorella di Zaki, Marise, in un'intervista esclusiva concessa grazie alla rete di attivisti 'Patrick Libero'.

La petizione online su Change.org per chiedere la cittadinanza italiana per Patrick non è una iniziativa partita dalla famiglia, precisa Marise. "L'unica nostra richiesta è la liberazione di Patrick", sottolinea Marise. "La famiglia ringrazia chiunque intraprenda azioni per supportare Patrick". Alla petizione online per la cittadinanza va comunque il loro appoggio, come per qualsiasi altra iniziativa per la libertà di Patrick: "Se un giorno dovesse succedere, ringrazieremo tutti".

"Purtroppo siamo confusi su cosa il Governo italiano abbia fatto di preciso finora per rilasciare Patrick. Annunciano pubblicamente che ci sono 'azioni riservate' ma Patrick è in carcere ormai da un anno. Sappiamo che il Governo italiano è uno storico alleato dell'Egitto e siamo certi che possano ottenere la sua libertà. Solo non capiamo perché è ancora in prigione nonostante un impegno pubblico sul caso", dice Marise. Tutti, sottolinea, anche le grandi imprese italiane che hanno attività commerciali in Egitto "da cui finora non abbiamo visto azioni significative", "devono fare la loro parte per liberare una persona innocente in prigione".

"Siamo riconoscenti per tutto il lavoro che Amnesty International e le varie Ong stanno facendo per Patrick - aggiunge la sorella di Zaki - e crediamo che debbano spingere le autorità governative ad agire per rilasciarlo. Mantenere il caso in vita e premere sulle istituzioni internazionali affinché prendano impegni è quello di cui Patrick ha più bisogno". Anche l'Università di Bologna, aggiunge la sorella 24enne di Zaki, "sta lavorando giorno e notte per Patrick e apprezziamo tutti i loro sforzi. Sono un'istituzione accademica e non possono negoziare o pressare uno Stato per il rilascio di un detenuto politico. Nonostante ciò hanno mostrato molto più impegno sul caso che ogni altro organo governativo".

"Non sta bene, è molto angosciato per il suo futuro e per i suoi studi". Questo quello che Patrick Zaki ha detto alla sorella Marise in occasione dell'ultimo incontro in carcere tra i due, il 27 dicembre, prima del Natale copto (7 gennaio 2021, ndr). "Non sa cosa succede fuori, è così deluso per il fatto di trovarsi ancora in prigione - dice Marise all'ANSA -. Ha paura che i suoi colleghi, l'Università si dimentichino di lui. Ha continuato a chiedere quando tornerà libero, perché è ancora in carcere senza aver fatto niente. L'ultimo nostro incontro è stato il più duro". Dal carcere Patrick ha fatto anche un piccolo regalo alla sorella, una croce realizzata con materiali di fortuna in cella. La notizia di pochi giorni fa di altri 45 giorni in carcere è stata pesante. "Ormai siamo a un anno senza una ragione in prigione. Un anno pieno di tristezza e delusione. È davvero dura per noi che quasi non riusciamo più a sopportarlo". "Ora non abbiamo più nemmeno niente di 'scritto' dalla Corte egiziana" sul suo caso.

Il ricordo della notte del 7 febbraio di un anno fa è indelebile. "È stato il peggior giorno della mia vita - racconta Marise -. Ero andata in aeroporto al Cairo a prenderlo, alle 4.30 di notte". Patrick era tornato a casa per una breve vacanza prima di tornare a Bologna e riprendere gli studi del master. "Ha risposto al telefono dicendo che era atterrato", ma "all'improvviso ha cominciato a parlare in modo nervoso, dicendo che lo stavano fermando e che non capiva cosa stesse succedendo. Poi la telefonata è stata bruscamente interrotta. Sono stata in aeroporto 48 ore, senza dormire, senza capire. All'improvviso abbiamo ricevuto la notizia che era alla stazione di polizia di Mansoura. Mi sono sentita perduta. Oggi come allora non ho una risposta per quello che è successo. Non so perché è ancora in prigione". Del fratello, il suo "migliore amico", le manca tutto. Parlare, fare una normale cena in famiglia. "È il miglior fratello maggiore che ogni sorella può desiderare. Mi ha supportato in tutto nella mia vita - dice Marise - Ci aiutava a casa, puliva, cucinava, è anche un buon cuoco, mi incoraggiava a fare cose nuove nella mia vita, come suonare, leggere nuovi tipi di libri".

Le condizioni di detenzione sono sempre peggiori, spiega Marise. In questo anno di pandemia, sottolinea, "la cosa peggiore è stata che hanno interrotto le visite in carcere per molti mesi", saperlo "preoccupato della possibilità di contrarre il coronavirus", "soprattutto ci hanno vietato di dargli medicine, sapone e disinfettanti. Quindi Patrick non ha avuto la possibilità di proteggersi dal virus".

"Evidentemente un provvedimento del genere", la cittadinanza italiana, "farebbe la differenza dell'impegno del Governo italiano nei confronti di quello egiziano". Così Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International in Italia. "Le parole che la sorella Marise ha rilasciato all'ANSA - aggiunge Noury - sono drammatiche e testimoniano quanto sia urgente assumere iniziative per il rilascio di Patrick proprio mentre sta per entrare nel secondo anno di detenzione".

Nonostante la delusione per l'ultimo rinnovo di custodia, la speranza di libertà è sempre accesa. Quando Patrick sarà fuori, annuncia Marise, "voglio abbracciarlo per un giorno intero, sogno di parlargli senza che nessuno ci conti i minuti. Faremo una grande festa quando tornerà".

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