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Giornalisti a Gaza, 'vittime ma continuano a documentare'

Giornalisti a Gaza, 'vittime ma continuano a documentare'

Le testimonianze in un incontro del Festival del giornalismo

PERUGIA, 20 aprile 2024, 15:36

Redazione ANSA

ANSACheck

© ANSA/EPA

"Le operazioni militari israeliane a Gaza stanno lasciando devastazione sui territori e uno spaventoso numero di vittime, tra cui molti giornalisti palestinesi che, nonostante l'assedio e le condizioni disumane, continuano a documentare la tragedia in corso": è il quadro emerso dall'incontro "Coprire Gaza, nonostante gli ostacoli" nell'ambito del festival internazionale del giornalismo in corso a Perugia. Se n'è parlato attraverso le testimonianze dirette di Youmna El Sayed, corrispondente della Striscia di Gaza per Al Jazeera English, di Nadim Nashif, imprenditore sociale e difensore dei diritti digitali, e di Wafa' Abdel Rahman, fondatrice di "Filastiniyat: media for women and youth" con sede a Ramallah. A moderare l'incontro Lina Attalah, co-fondatrice del sito di notizie con sede al Cairo "Mada Masr".
    "Da qui - ha detto Youmna ElSayed - vorrei rendere omaggio allo straordinario lavoro di ogni giornalista palestinese che sta raccontando questo genocidio nella Striscia di Gaza. Fin dal primo giorno l'esercito israeliano ha reso molto ovvio a noi giornalisti che siamo bersagli diretti in questa guerra. Abbiamo visto molti dei nostri colleghi cadere, essere feriti o uccisi.
    Siamo stati costretti a lasciare i nostri uffici, a lavorare senza strumenti, senza attrezzature, trovandoci in condizioni molto dure. Nella Striscia di Gaza oltre 130 giornalisti palestinesi sono stati uccisi e dozzine di persone sono rimaste ferite". Per Youmna ElSayed "i giornalisti internazionali hanno trascurato e abbandonato il loro diritto di costringere l'esercito israeliano a lasciarli entrare nella Striscia di Gaza per coprire questa guerra". "E' qualcosa che non ha precedenti - ha proseguito - e non è accaduto in nessun'altra parte del mondo. I giornalisti palestinesi hanno fatto quello che potevano, nonostante tutte le sofferenze e le sfide che hanno dovuto affrontare nell'ultimo mese. Sentirsi dire che il problema principale del conflitto è che non ci sono giornalisti sul campo che raccontano la guerra, è un vero e proprio insulto senza precedenti a tutti coloro che sono stati uccisi, che hanno perso le loro famiglie, che hanno perso le loro case e a quei giornalisti che sono ancora vivi ma sono feriti". "Vedete sui vostri schermi i bombardamenti e i bambini uccisi e feriti e le persone sfollate in migliaia di tende che si sono estese ovunque - ha detto ancora la giornalista - ma non si vedono i dettagli di come queste persone vivono all'interno di queste tende, di quanto lottano per avere un po' d'acqua da bere, per procurarsi un po' di cibo, per sfamare i loro figli. Nessuno ne parla.
    Quanti giornalisti e media sono stati complici di questo genocidio? Non parlarne è complicità. Parlare e schierarsi dalla parte dell'oppressore, dell'occupante, accettare 1a narrazione di parte, anche questa è complicità".
    Per Rafa Aberman "il primo principio è credere alle vittime". "Le vittime non vengono credute - ha detto - e devono dimostrare al mondo che i bombardamenti e i proiettili israeliani uccidono davvero, che il sangue è vero. Nella prima settimana in cui stavamo facendo il reportage, l'abbiamo chiamata 'Gaza sotto attacco'. Ma poi la seconda settimana ho preso la decisione come femminista, di parlare di genocidio di Gaza, e non di attacco o guerra. Al mio team ho detto: dobbiamo aspettare che la comunità internazionale dica che si tratta di genocidio? no, è esattamente come una donna che viene stuprata ma poi non ti è permesso usare la parola stupro".
   

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