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La parola della settimana è città (di Massimo Sebastiani)

La parola della settimana è città (di Massimo Sebastiani)

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22 ottobre 2021, 16:15

Redazione ANSA

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La parola della settimana è città - RIPRODUZIONE RISERVATA

La parola della settimana è città - RIPRODUZIONE RISERVATA
La parola della settimana è città - RIPRODUZIONE RISERVATA

Cosa significa prendere una città? Qual è il valore simbolico, al di là dei numeri, delle quantità, della sfida per la vittoria, di una città? Come ha spiegato lo storico dell’architettura Joseph Rykwert in ‘L’idea di città’, un libro pubblicato all’inizio degli anni ’80 e diventato rapidamente un piccolo classico, la città è innanzitutto una forma simbolica cioè una configurazione in cui il paesaggio urbano scaturisce da una serie di miti e credenze, al momento della sua fondazione, che rispecchiano la visione del mondo di un’intera civiltà. E’ come dire che le parti materiali e concrete della città contano ma fino ad un certo punto.

 

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Per diventare simbolo, una parola di cui ci siamo già occupati, alla città non bastano edifici e monumenti, vie e piazze: ha bisogno di tutto il resto e cioè di quell’attività e anche autopercezione umana (che definisce la città gradevole o sgradevole, attraente o repulsiva) che ne fa proprio quella città, ‘leggendola’, se così si può dire, attraverso il pensiero e il linguaggio, che sono i suoi strumenti specifici. E’ così che New York o Parigi, Roma o Londra, Mosca, Shangai e Tokyo ci parlano non solo di loro stesse ma della comunità che le abita e le fa vivere. Che il paesaggio urbano non basti è dimostrato dal fatto che ci sono casi in cui parliamo di ‘città fantasma’, espressione usata per la prima volta nel 1977 da un giornalista svedese. Sono quei casi in cui restano solo le vestigia della città prive della vita intorno, cioè senza gli umani la cui visione del mondo giustifica, è alla base, alle fondamenta, di quelle vestigia.

Non si dà dunque città senza gli umani: d’altra parte la città nasce quando gli uomini, avendo smesso di essere nomadi cacciatori e raccoglitori, scoprono l’agricoltura e si sedentarizzano e quindi si raccolgono più o meno stabilmente in un luogo. Il potere economico che, proprio per il modo in cui è nata, la città ospita e incarna da subito, le dà anche rilievo politico, che come sappiamo deriva dal greco polis e significa proprio città. Ecco perché nel caso di questa parola l’etimologia è davvero tutto, o quasi.

Anche quando, tipicamente in tutte le grandi città americane ma non solo, la città come fatto unitario e in sé compiuto non esiste: “è fatta per definizione di frammenti, isole, quartieri etnici”, scrive Kevin Lynch, urbanista e architetto, in ‘L’immagine della città’, un libro pubblicato invece nel 1960. E aggiunge: “A Los Angeles la frantumazione della popolazione in quartieri etnici rigidamente separati è sempre stata una caratteristica dominante”. Città infatti deriva da ‘civitas’ che, spiega il vocabolario Treccani, è la condizione del civis o l’insieme dei cives, cioè degli abitanti.

Sempre il vocabolario Treccani sottolinea che al significato di ‘aggregato di abitazioni’ la parola giunse per metonimia, che in greco significa ‘scambio di nome’ e che è una figura retorica dove si sostituisce il contenente per il contenuto (bere una bottiglia) o il simbolo per la cosa designata (onorare la bandiera). E sostituì così urbs. Parliamo di città, insomma, ma intendiamo prima di tutto i suoi abitanti. La radice del termine è l’indoeuropea ki o ci che significava giacere, sedere, da cui il significato di abitare e insediare. Sono gli abitanti che decidono, per così dire, se una città è un allegro pullulare di socialità o magari invece solo un deserto. E questo dipende dal fatto, come ha scritto Italo Calvino, tre anni dopo l’Equipe 84, che ‘le città, come i sogni, sono costruite di desideri e di paure’.

Cosa c’è di più politico che gestire una quantità di persone che hanno desideri, paure, aspettative, bisogni? Ecco perché le città acquisiscono valenza metaforica e possono essere, come ha scritto James Donald ‘corpi malati’ o ‘macchine efficienti’. E cosa c’è di più privato di casa propria, della città natale e del luogo dove ti senti a casa? Quel luogo che in inglese si definisce hometown. 

 

 

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