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Responsabilità editoriale di Advisor
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A un decennio di distanza, in alcune delle maggiori economie le banche si sono ampiamente riprese dalla crisi finanziaria globale. In altre, come in Italia, l'eredità lasciata dagli attivi deteriorati continua a soffocare il sistema bancario, intralciando il motore della crescita economica. Questo divario è dovuto in ampia misura agli approcci divergenti adottati dai vari governi per ricapitalizzare le rispettive banche dopo la crisi ed è dipeso, in particolare, dalla volontà degli stessi di affrontare i problemi in maniera approfondita e tempestiva. In merito pubblichiamo un commento a cura di Mark Burgess, vice capo investimenti globale e capo investimenti EMEA di Columbia Threadneedle Investments.
A un decennio di distanza, lo stato di salute delle banche di questi paesi riflette ampiamente i diversi approcci adottati dai governi per la ricapitalizzazione dopo la crisi finanziaria globale. Le banche statunitensi si sono rimesse rapidamente, sostenute dalle brillanti performance economiche a livello nazionale. Oggi vantano solide situazioni patrimoniali, come dimostrato dagli stress test periodici della Fed, ed esibiscono quote di utile distribuito superiori al 100%, in altre parole restituiscono l'eccedenza di capitale agli azionisti. I bilanci delle banche inglesi appaiono in salute e capaci di sopravvivere a un'uscita disordinata dall'Unione europea, stando ai recenti stress test della BoE. Le banche esibiscono un eccesso di capitale che potrebbe essere restituito agli azionisti, ma la ripresa degli utili dopo la recessione ha risentito pesantemente dei conduct costs, essenzialmente legati alla vendita impropria di assicurazioni sulla protezione dei pagamenti (PPI). Ciononostante, questo fattore è destinato a venire meno a breve, considerando che la scadenza per la presentazione di reclami connessi a prodotti PPI è agosto 2019.
In Europa Continentale il quadro è molto più variegato. I grandi istituti che hanno beneficiato di piani di salvataggio su misura, tra cui ING, UBS e KBC, si sono ripresi relativamente in fretta. Analogamente, al momento le banche spagnole appaiono in buona salute, dopo la decisione del governo di trasferire i titoli problematici a Sareb e ristrutturare il settore. Per contro, il sistema bancario tedesco deve ancora riprendersi del tutto e l'Italia non ha affrontato il problema degli attivi tossici delle banche. Di conseguenza, questi paesi non sono in grado di sostenere la crescita: l'economia dell'eurozona è finanziata per due terzi dalle banche e le PMI rappresentano una porzione analoga dell'economia italiana, eppure il volume di prestiti bancari a tali soggetti è in calo da 10 anni a questa parte.
È evidente che l'approccio adottato dagli Stati Uniti per ricapitalizzare il sistema bancario dopo la crisi finanziaria globale ha permesso di assorbire le perdite e di continuare a erogare prestiti nell'economia reale, stimolando la crescita delle società e il PIL negli anni successivi la crisi. La situazione è invece ben diversa in Europa, dove gli effetti a catena del mancato supporto delle banche alle PMI hanno fatto sì che, nel complesso, la crescita del PIL abbia segnato il passo rispetto a quella di USA e Regno Unito
per gran parte del periodo successivo alla crisi finanziaria globale.
Pronti ad affrontare la tempesta
Mentre le economie sviluppate si avvicinano a un punto di svolta del ciclo, le banche statunitensi e quelle inglesi appaiono molto più al sicuro e in grado di fronteggiare eventuali rallentamenti grazie ai massimi livelli di capitale e liquidità nonché al quadro normativo più solido degli ultimi decenni. Certo, le valutazioni azionarie potrebbero risentire duramente degli effetti di una recessione, ma i bilanci sono in grado di sopravvivere a una flessione. Il semaforo è pertanto verde per Stati Uniti e Regno Unito. In Europa, possiamo dire che la Spagna è ferma sul giallo, ma riteniamo che le sue banche siano investibili. Per l'Italia e la Germania, invece, il semaforo è rosso.
L'Italia si trova davanti alla sfida più grande. In caso di recessione, si renderanno necessari interventi di ricapitalizzazione nel sistema bancario, che però il governo faticherebbe a realizzare in ragione degli elevati livelli di indebitamento e del deficit di bilancio. Pertanto il fardello potrebbe dover essere trasferito all'Unione europea. Il rischio principale è quello che la debolezza dell'apparato bancario italiano inneschi una crisi del debito sovrano. Nel caso specifico, la minaccia appare aggravata dal fatto che il quadro europeo in materia di risoluzione delle banche obbliga attualmente i governi a gravare pesantemente su azionisti e obbligazionisti senior come condizione per qualunque iniziativa di salvataggio finanziata dallo Stato.
In Italia ciò sarebbe pericoloso dal punto di vista politico, visto che qualcosa come un terzo del debito bancario senior del paese è detenuto da investitori retail domestici. Le potenziali difficoltà elettorali sono evidenti, ragion per cui una crisi bancaria italiana rappresenta uno dei rischi di evento principali che ravvisiamo, unitamente a una Brexit caotica. Tuttavia, siamo dell'idea che la minaccia posta dall'Italia sia potenzialmente anche più grave, malgrado attiri scarsa attenzione.
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