Un sinologo e un latinista
rileggono criticamente dopo tre secoli l'opera del gesuita
siciliano Prospero Intorcetta che nel Seicento tradusse e
divulgò per primo in Occidente il pensiero di Confucio
antesignano delle culture del dialogo. Alessandro Tosco, che
insegna lingua e letteratura cinese e dirige l'istituto Confucio
presso l'Università Kore di Enna, e l'australiano Rodney Lokaj,
latinista e professore di filologia italiana, hanno ripercorso
gli studi di Intorcetta in un'ottica comparata. Ne hanno
ricavato un volume ("Zhongyong. La costante pratica del giusto
mezzo") pubblicato ora alla Fondazione Federico II.
Per la prima volta è stata presentata una traduzione critica
in italiano e inglese degli scritti del gesuita originario di
Piazza Armerina e del testo cinese che Intorcetta pubblicò
traducendolo in latino, allora la lingua usata non solo dalla
Chiesa ma anche dalla cultura e dal potere politico. "Quella
operazione - dice Tosco - ebbe il merito di mostrare intanto la
caratura intellettuale del gesuita siciliano e di rendere più
prossime l'Europa e la Cina".
Prima di lui un altro gesuita sinologo, Matteo Ricci, aveva
osservato il sistema filosofico confuciano ma la sua opera è
arrivata incompleta. Quella di Intorcetta ha invece approfondito
Confucio con una lettura che ancora oggi, dice la direttrice
della Fondazione Federico II, Patrizia Monterosso, apre "nuovi
interessi antropologici, religiosi, filosofici" in un contesto
dove erano prevalenti il dialogo e la comprensione della cultura
dell'altro.
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