"Le decisioni sull'assegnazione
del porto sicuro erano del ministro dell'Interno perché erano
una sua competenza. Da ministro della Difesa e in relazione ai
divieti di ingresso in acque italiane a me spettava solo
verificare che non si trattasse di nave militare": così l'ex
ministro della Difesa Elisabetta Trenta, sentita come teste al
processo Open Arms, ha specificato il suo ruolo nella decisione
di vietare l'ingresso in acque italiane alla nave della ong
spagnola con a bordo i profughi soccorsi l'1 agosto 2019. Il
divieto fu disposto con decreto firmato dai ministri
dell'Interno, delle Infrastrutture e della Difesa. Al processo è
imputato di sequestro di persona l'allora ministro dell'Interno
Matteo Salvini, accusato di aver illegittimamente rifiutato per
giorni l'approdo alla nave spagnola. Il ministro è nell'aula
bunker. "Doveva essere un atto per scoraggiare le ong dal
decidere di arrivare in Italia" ha spiegato l'ex ministro.
Al processo dopo Trenta ha deposto l'ex ministro delle
Infrastrutture Danilo Toninelli: "Non ero a conoscenza
personalmente di rischi relativi alla sicurezza pubblica o
sanitari legati all'eventuale sbarco dei migranti soccorsi dalla
nave Open Arms, il rischio mi era stato prospettato dal ministro
dell'interno". "Dopo che il Tar sospese il decreto che vietava
l'ingresso della Open Arms in acque italiane, dal Viminale
arrivò un secondo decreto che io non firmai, visto che il
contesto non era mutato rispetto alla firma del primo decreto.
Le cose anzi si stavano complicando perché nel frattempo erano
passate due settimane. E inoltre era chiaro che un nuovo
decreto, a condizioni immutate, sarebbe stato impugnato e di
nuovo annullato. Che senso aveva replicare?", ha continuato il
teste.
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