Bloomsbury è prima di tutto un luogo,
il quartiere in cui nel 1904 gli orfani Stephen - Virginia,
Vanessa, Thoby e Adrian - traslocano, dal quartiere altolocato
di Kensington al malfamato numero 46 di Gordon Square. Ogni
giovedì dopocena, la casa si riempiva di gente giovane. Erano
gli amici di Thoby che venivano da Cambridge: Lytton Strachey,
John Maynard Keynes, Saxon Sydney-Turner, Clive Bell, Leonard
Woolf… Persone speciali, originali, eccentriche, con una gran
voglia di vivere in modo diverso dai loro padri. Giovani pieni
di estro e inventiva e ironia. Che fosse la bellezza, o il bene,
o la verità, le energie si concentravano sul senso della parola.
Ognuno provava a cogliere il concetto, a fissare l'idea.
Bloomsbury fu questo, l'invenzione di una vita nuova. Ed è
questo lo spirito che punta a ricreare negli spazi di Palazzo
Altemps a Roma la mostra "Virginia Woolf e Bloomsbury Inventing
life", aperta dal 19 ottobre al 12 febbraio con la curatela di
Nadia Fusini, che della grande scrittrice inglese è una delle
più profonde conoscitrici, curatrice anche, con Luca Scarlini,
dell'edizione delle opere della Wolf pubblicata nei Meridiani.
Organizzata dal Museo Nazionale Romano e dalla National Portrait
Gallery di Londra in collaborazione con Electa - editore anche
del catalogo - la mostra romana riporta in primo piano anche
l'anima di Palazzo Altemps, nato come casa nobiliare nel cuore
di Roma.
Le opere selezionate, anticipano gli organizzatori,
racconteranno che Bloomsbury, se non è un movimento con un
programma, né una religione con relativo culto, è senz'altro una
rivoluzione della mente. E se Virginia Woolf fu la scrittrice
che conosciamo, è perché ebbe il coraggio di ribadire la propria
libertà, e tale coraggio senz'altro si nutrì e crebbe
nell'atmosfera di ricerca e di sincerità morale del gruppo di
giovani amici, che discutevano della natura del bene e del
bello.
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