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Perchè Sean Connery è stato il miglior James Bond di sempre

Perchè Sean Connery è stato il miglior James Bond di sempre

007 fu successo mondiale che gli andava stretto

ROMA, 31 ottobre 2020, 18:44

di Giorgio Gosetti

ANSACheck

Sean Connery, mito Highlander non solo 007 © ANSA/AFP

Sean Connery, mito Highlander non solo 007 © ANSA/AFP
Sean Connery, mito Highlander non solo 007 © ANSA/AFP

 Lo hanno sfidato in cinque, qualcuno ne ha insidiato il trono, nessuno lo ha sconfitto: ancora oggi tutti i referendum sull'ideale Agente 007 incoronano Sean Connery come unico, insostituibile James Bond. L'aitante ex muratore scozzese appare sugli schermi il 5 ottobre 1962 con la prima di "A007: Licenza di uccidere" mentre il primo ciak all'aeroporto di Kingston (Giamaica) era stato battuto a fine gennaio dello stesso anno. Da quella sera in avanti, e per sette film campioni d'incasso in tutto il mondo, l'ideale maschile non sarebbe stato più lo stesso: Connery portava in dote al personaggio una sessualità e una forza animale che si sarebbe rivelata dirompente, nonostante il commento del creatore di James Bond, l'inglese Ian Fleming, al termine della "prima".
    "Terribile - avrebbe detto (e poi smentito) - assolutamente terribile". Non è un mistero che per lui Connery, coi suoi modi spicci, l'accento scozzese, l'eleganza ben poco simile a quella di un gentiluomo che si veste a Saville Row, facesse a pugni coi modelli cui si ispirava scrivendo i romanzi che tanto erano piaciuti a John Kennedy e che ormai spopolavano dalla fine degli anni '50. Fleming sognava l'affettato Hogey Carmichael per quella parte e, cedendo i diritti di "Dr.No", aveva poi suggerito Cary Grant reduce da "Intrigo internazionale". Fu il divo di Hollywood a rinunciare sentendosi troppo vecchio (a 58 anni) per impegnarsi in una serie di pellicole con 007. In favore dello sconosciuto Connery giocarono altri fattori: le contenute pretese economiche, il parere della moglie di Harry Saltzman (uno dei due produttori), la sua somiglianza con i disegni di John McLusky che aveva avuto grande successo con il fumetto di James Bond e il parere del regista scelto dall'altro produttore, Cubby Broccoli, ovvero Terence Young che aveva avuto Sean nel cast del suo "Il bandito dell'Epiro". A leggere la lista degli altri possibili 007 (David Niven, James Mason, il giovanissimo Roger Moore, il modello Peter Anthony che somigliava a Gregory Peck ma non articolava una battuta nemmeno sotto tortura) ci si rende conto di quanto causale e fortunata fu la scelta. Ma il successo arrivò immediato, contagioso, planetario: in una stagione in cui si incrinava il mito dell'uomo maturo e rassicurante così come quello del "macho" tutto muscoli, l'aitante Sean Connery che alternava lo smoking e il costume da bagno, che sparava e baciava con la stessa spudorata disinvoltura, fece ribollire il sangue a una generazione di ragazze in cerca di liberazione sessuale e a una di maschietti timidi che imparavano con 007 a miscelare il Martini a regola d'arte e con Connery ripassavano l'ABC della seduzione.
    L'identificazione con 007 gli stava stretta e per questo spuntò in contratto il diritto a lavorare con altri tra un Bond Movie e l'altro. Superò con baldanza alcuni insuccessi ("Marnie" per Hitchcock), l'incipiente calvizie (ai ritocchi dei truccatori in "Licenza di uccidere" dovette poi rimpiazzare un parrucchino vistoso dei film successivi), la voglia di lasciare (dopo "Si vive solo due volte" per poi tornare con lo stanco "Una cascata di diamanti") e le tentazioni di riprendere lo scettro (cedette solo un'altra volta con l'autoironico "Mai dire mai", accettato per sfida ai suoi vecchi produttori nel 1983). Con la maturità aveva finito per guardare con il sorriso alla sua icona immutabile. "Ho fatto più di 60 film - ha detto -, alcuni fantastici e tanti altri dimenticabili, ma so bene che se resterà un mio ricordo nella storia del cinema sarà per merito di James Bond e in fondo voglio bene a quel dannato figlio di...".
    Oggi che non c'è più siamo ancora a domandarci il segreto di un successo che è misterioso e affascinante come il più riuscito dei cocktail. Forse vale per lui l'analisi che Umberto Eco riservò al personaggio: in lui vive l'eroe che non è santo e irraggiungibile. Sopporta il dolore e conosce il brivido della morte a un passo e per questo vive e morde la vita come a noi mortali non accade. Attraversa ogni volta le stazioni della sua via crucis secondo un rituale immutabile che il lettore/spettatore conosce a memoria, porta nel corpo e nella mente ferite ben mascherate, ma alla fine ne esce purificato come un paladino della Tavola Rotonda. Anche oggi ci piace ricordare così Sean Connery: ha attraversato il portone della morte, ma noi sappiamo che ci aspetta al di là, col suo sorriso ironico e il ciuffo di sbieco sulla fronte, bello e immortale.
   
   

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