"Quella che ci viene mostrata è
una sorta di realtà oltre la realtà" dice il direttore Bruno
Racine, davanti alle circa 400 immagini in bianco e nero di
Venezia che, una attaccata all'altra, compongono una linea
ininterrotta che si snoda lungo le pareti di Palazzo Grassi, una
delle due sedi lagunari della Collezione Pinault, riaperta al
pubblico dopo sei mesi di lavori con una mostra, "Hypervenezia",
dal 5 settembre al 9 gennaio 2022, omaggio a una città che
festeggia i 1600 anni dalla sua fondazione.
L'esposizione, suddivisa in tre sezioni - una è una
installazione video con oltre 3.000 foto accompagnate dalla
musica di Nicolas Godin -, presenta per la prima volta al
pubblico parte del "Venice Urban Photo Project" avviato e
realizzato dal 2006 da Mario Peliti, architetto- editore romano
con casa all'isola della Giudecca, teso a mappare
sistematicamente Venezia con le sue fotografie, con l'obiettivo
"di raccogliere il più ampio e organico archivio di immagini
della città mai realizzato".
In 15 anni, Peliti ha realizzato circa 12 mila immagini, ma
la ricognizione fotografica di Venezia dovrebbe concludersi nel
2030 - sarà creato un fondo digitale del progetto presso
L'Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentrazione e la
Sovrintendenza Archeologica. Belle Arti e Paesaggio per l'area
metropolitana di Venezia - e mai avrebbe pensato di mostrarle al
pubblico: "da quando si è parlato di questa mostra non ho più
dormito".
Tutte le foto sono e saranno realizzate sempre con la stessa
modalità di ripresa: bianco e nero, senza ombre portate e senza
persone. Stesso obiettivo per le orizzontali, un altro per le
verticali. Proprio l'assenza di ombre e persone crea di fatto in
chi guarda un senso di straniamento, una inquietudine su ciò che
viene mostrato, su un reale che può sembrare finzione.
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