L'isola "come la vede e vive un
veneziano di 16 anni, come la vedono e vivono tutti i
veneziani, una prospettiva 'segreta' che ho avuto la fortuna di
poter conoscere osservando e conoscendo la vita degli
adolescenti in laguna". E' la Venezia, spiega all'ANSA Yuri
Ancarani, video artista ravennate che espone le sue opere in
tutto il mondo, protagonista in Atlantide, il film che unisce i
linguaggi della fiction e del documentario , interpretato da un
cast quasi interamente di attori non professionisti, in concorso
in Orizzonti, alla Mostra internazionale del Cinema, con una
uscita prossimamente in sala distribuito da I Wonder Pictures.
Ancarani abituato oltre che alle mostre nei più importanti
musei, ai grandi festival e ai premi internazionali, da Locarno
a Clermont Ferrand, era già stato al Lido nel 2010 e 2011 con
due corti, Il capo e Piattaforma luna. Questo è il suo debutto
con un lungometraggio, prodotto da Dugong Films e Rai Cinema)
per una storia che ruota intorno a quello che "è da generazioni
un vero rito di passaggio" per tanti giovani veneziani, legato
alle giornate in in barchino (i piccoli motoscafi trasformati da
molti ragazzi in bolidi da competizione). Nella rilettura di
fiction protagonista è Daniele (Daniele Barison), giovane di una
delle isole della laguna, Sant'Erasmo. Vive di espedienti, ed è
emarginato anche dal gruppo dei suoi coetanei e dai loro svaghi
che ruotano intorno soprattutto alle ore passate nei barchini
"fra trap, snack e luci Led" spiega Ancarani. Come gli altri
ragazzi. Anche Daniele vorrebbe rendere il suo motoscafo sempre
più veloce, un desiderio che diventa un'ossessione. Ancarani
vuole raccontare "la violenza che c'è in certi riti di passaggio
vissuti soprattutto dagli adolescenti maschi".
Il filmmaker ha terminato le riprese nei mesi di pandemia,
"quando Venezia era un deserto, senza turisti. Un aspetto che
appartiene anche alla vita dei veri veneziani che hanno con loro
contatti minimi". Per Ancarani "tutta l'ossessione che c'è di
voler far diventare a tutti i costi questa città un brand è
folle, un errore e c'è dietro soprattutto tanta voglia di
apparire".
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