Hallelujah di Leonard Cohen è una di
quelle canzoni-mondo che più ci sono familiari, ognuno ha la sua
versione preferita essendo stata cantata e ricantata da tanti
altri musicisti, oltre alle stesse interpretazioni dell'artista
canadese con la sua voce profonda e inconfondibile. Jeff
Buckley, John Cale, kd lang, Judy Collins, Brandi Carlile, sono
solo alcuni tra i tanti oltre all'originale di una canzone
profondamente religiosa e che trascende i generi oltre che le
generazioni. Fuori concorso a Venezia 78, ad aprire il grande
filone dei film documentari sulla musica, il 2 settembre passa
HALLELUJAH: LEONARD COHEN, A JOURNEY, A SONG di Daniel Geller e
Dayna Goldfin.
"L'idea iniziale - hanno detto - era ricostruire la genesi di
questo pezzo, lavorare sui materiali dell'epoca e mettere in
luce gli aspetti più profondi di Hallelujah". Pubblicata
nell'album Various Positions (1984), la canzone, densa di
riferimenti biblici fa risaltare un doppio Hallelujah, quello
del sacro, dettato dalla fede e dal cuore, e quello profano, del
godimento dell'amore e del sesso e li collega e li unisce in una
sorta di struggente elegia d'amore.
Nel documentario ci sono le sue parole, le interviste
rilasciate da Cohen ma anche i racconti delle persone a lui
vicine, un cerchio che si stringe, con lo spunto
dell'Hallelujah, per parlare infine della condizione umana e di
questioni profonde come la fede.
Il film, utilizzando un'incredibile quantità di immagini
d'archivio mai viste prima e note personali della vita di
Leonard Cohen, diventa esplorazione in musica del suo genio.
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