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Africa, le scelte di vita o morte in un ospedale da campo sudafricano

Africa, le scelte di vita o morte in un ospedale da campo sudafricano

Oltre 168 mila casi, più di 2.840 morti; fascia di età più colpita: quella fra i 60 e i 69 anni con 717 morti; area col maggior numero di contagi (circa 64.500): il Western Cape.

IL CAIRO, 07 luglio 2020, 22:51

Redazione ANSA

ANSACheck

Sudafrica lockdown © ANSA/EPA

Sudafrica lockdown © ANSA/EPA
Sudafrica lockdown © ANSA/EPA

Oltre 168 mila casi, più di 2.840 morti; fascia di età più colpita: quella fra i 60 e i 69 anni con 717 morti; area col maggior numero di contagi (circa 64.500): il Western Cape. Questi alcuni dati della pandemia di Covid del Sudafrica che, come in tutto il mondo, stendono un velo su drammi come quello dei medici chiamati a scegliere cinicamente chi possa vivere grazie a un ventilatore polmonare o ad una bombola d'ossigeno e chi debba invece morire soffocato per la sua mancanza. Lo hanno ricordato dichiarazioni di un medico belga di Medici senza frontiere (Msf), Eric Goemaere, che lavora in un ospedale da campo allestito in un palazzetto dello sport di Khayelitsha, povera township nella municipalità metropolitana di Città del Capo.

"Dobbiamo prendere decisioni difficili", ha detto alla Bbc. "Non ha senso rimandare all'ospedale di riferimento i casi estremamente gravi dato che non hanno personale o macchinari. Gli ospedali in questa regione non ce la fanno", ha aggiunto il medico come riferisce il sito dell'emittente britannica. A questi pazienti terminali vengono impartite "cure palliative" in "un angolo del palazzetto, mentre le preziose forniture di ossigeno sono riservate a coloro considerati con migliori possibilità di guarigione", scrive il sito. La struttura di Msf funge da appoggio per un ospedale con 300 posti letto da sempre affetto da carenza di infermieri e che ha dovuto triplicare il numero dei medici trasformandosi in una struttura "tutta-Covid". Ma "abbiamo un sacco di personale infetto", constata il primario di Medicina, Ayanda Trevor Mnguni, notando che "la maggior parte delle nostre infermiere sono diventate pazienti".
   

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