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La parola della settimana è 'RESPONSABILITA'' (di Massimo Sebastiani)

La parola della settimana è 'RESPONSABILITA'' (di Massimo Sebastiani)

03 dicembre 2021, 23:25

Redazione ANSA

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La parola della settimana - RIPRODUZIONE RISERVATA

La parola della settimana - RIPRODUZIONE RISERVATA
La parola della settimana - RIPRODUZIONE RISERVATA

Abbiamo iniziato questo viaggio tra le parole più di due anni fa, poco prima che esplodesse la pandemia del covid che, fra le altre cose, ha letteralmente occupato e, si potrebbe dire, mangiato il discorso pubblico. Le parole che abbiamo usato di più, e quindi fatalmente le parole di cui ci siamo occupati, nascevano dal discorso sul covid, da virus a immunità, da respiro a normalità. Ma alcune di queste hanno un significato, un uso e rimandi che vanno molto oltre la pandemia e hanno un tale un tale peso da spingerci a parlarne più e più volte: è stato il caso di libertà, cui abbiamo dedicato tre puntate, o di cambiamento.

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Tra le parole di peso che i più diversi protagonisti della vita pubblica hanno usato in questi mesi e ancora di recente c’è responsabilità. E’ stato di nuovo invocata, dopo i primi difficili mesi della pandemia nel 2020, ancora dal Capo dello Stato che ha invitato ciascuno a non sfuggire alle proprie responsabilità. Ma ne hanno parlato anche Nicola Magrini, direttore generale dell’Aifa, che ha ammesso la responsabilità sul ritardo della terza dose, Zerocalcare, secondo cui invece se qualcuno lo considera un riferimento intellettuale, la responsabilità non è sua, e anche Giorgio Chiellini, colonna della Juventus, richiamando ogni compagno alla propria responsabilità in un momento difficile della squadra.

Julio Velasco, l’allenatore della nazionale italiana di pallavolo super-vincente degli anni ’90, in una delle sue gustose conferenze sulle dinamiche di gruppo, parla di come lo schiacciatore in una squadra di volley cerca sempre un alibi per una schiacciata sbagliata incolpando l’alzatore, che gliela ha alzata male, il quale a sua volta si rivolge a chi ha ricevuto la battuta avversaria e gliela ha messa male. Questo però non può più scaricare la responsabilità su nessuno, perché è il primo di quella catena. Ecco, per una volta, benché la radice del termine sia ovviamente latina, non dobbiamo tornare all’antica Roma o alla Grecia per trovare il primo insorgere di questa espressione. Il bello della parola responsabilità è che è moderna. Anzi potremmo dire che si affaccia sulla soglia della modernità: il primo uso documentato è in un testo che si intitola, pensate un po’, ‘Il federalista’. E’ una raccolta di articoli di Alexander Hamilton, John Jay e James Madison pubblicata nel 1788 dove viene usata per la prima volta la parola "responsability", per indicare che il governo degli Stati Uniti è responsabile del proprio operato nei confronti del popolo che gli ha delegato i suoi poteri.
Non è un caso che la parola sia nata all’alba della modernità, legata a quella rivoluzione che ha aperto le porte alla democrazia come la conosciamo ancora oggi. E’ infatti una parola strettamente connessa allo sviluppo e alla valorizzazione dell’individuo che, così come lo intendiamo noi, figli di quella modernità, e come lo intende anche Velasco, prima non esisteva. Individuum, cioè nucleo non diviso, poteva essere anche una coppia o addirittura una famiglia. Responsabilità invece deriva da respondere, cioè rispondere, che a sua volta è composta da re-, indietro, e spondere, promettere. Quindi rispondiamo promettendo qualcosa di rimando, per esempio un comportamento coerente con le regole comuni che ci siamo dati e abbiamo accettato. Perché la responsabilità implica certamente una chiamata in causa dell’individuo ma in quanto connesso e interdipendente dagli altri.
Per questo il pensatore che più di ogni altro nel XX secolo ha riflettuto su questo concetto, Hans Jonas, nel suo 'Il principio responsabilità' parla di un’etica razionalista applicata alle conseguenze che i nostri comportamenti possono avere, non solo in questo momento e non solo su una persona o una situazione, ma sull’intera biosfera. Ed è dunque anche una responsabilità proiettata nel futuro. Jonas, un’allievo di Martin Heidegger e compagno di studi di Hannah Arendt, l’autrice del celebre La banalità del male, che sarebbe piaciuto a Greta Thunberg, distingueva, sulla linea di Max Weber, tra etica della convinzione o etica dei principi e etica della responsabilità.

La prima si fonda su principi assoluti, è ideologica e dunque assai meno sensibile alle conseguenze che può produrre; la seconda è l’etica della complessità, basata su sistemi di relazione ed è il risultato di un processo a catena (ed è quello sostanzialmente descritto anche da Velasco nella divertente ricerca dell’alibi da parte dello schiacciatore. Va notato che la bellissima parola alibi, che pure deriva dal latino, significa ‘altrove’ ed è per questo l’esatto opposto della responsabilità: non ero qui, ero altrove, non sono io quello che stai cercando, come direbbe Francesco De Gregori).
L’etica della responsabilità ragiona costantemente sul bilanciamento di conseguenze e benefici, dove il limite della libertà dell’individuo – che senza limiti non sarebbe tale – è proprio questa responsabilità. Ci sono molti tipi di responsabilità: la più famosa è naturalmente quella giuridica, che può essere penale o civile, ma c’è anche la responsabilità sociale, oggettiva (anche senza colpa diretta), e c’è naturalmente una responsabilità politica. 'Per le persone indisciplinate che vogliono ricevere tutto su un piatto d’argento – ha scritto l’iraniano Saeed Habibzadeh – la responsabilità è un peso di cui si vogliono liberare’'. Forse perché, come spiega Daisaku Ikede, presidente della Soka Gakkai, l’associazione buddista internazionale, la responsabilità implica l’ascolto: di una comunità da parte di un leader, per esempio. Questa responsabilità, se assunta senza consapevolezza, può far anche impazzire. Come capita a Jack Torrance, il protagonista di Shining.

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