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La parola della settimana è 'TRANSIZIONE' (di Massimo Sebastiani)

La parola della settimana è 'TRANSIZIONE' (di Massimo Sebastiani)

08 ottobre 2021, 15:23

Redazione ANSA

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La parola della settimana: transizione - RIPRODUZIONE RISERVATA

La parola della settimana: transizione - RIPRODUZIONE RISERVATA
La parola della settimana: transizione - RIPRODUZIONE RISERVATA

C’è una parola che si sente sempre più spesso, transizione. Ma perché? Il calcio, le sue cronache e le sue analisi, hanno certamente contribuito alla diffusione del termine. Quello che prima si chiamava contropiede o contrattacco, per un po’ si è chiamato break, quando un giocatore 'rompeva' la rete di passaggi della squadra avversaria intenta a costruire l’azione d’attacco dando vita a sua volta ad una repentina, e perciò imprevista, azione d’attacco della sua squadra. Ora in qualunque radiocronaca o telecronaca e in molte analisi si parla di transizione positiva: passare da una azione di contenimento ad una di attacco, ad un affondo verso l’area avversaria. La transizione calcistica è stata messa nero su bianco già nel 2011, in una tesi di fine corso master a Coverciano, quella in cui si laureano i neo allenatori. Titolo: 'Le transizioni nel calcio moderno'

Ma il salto, almeno quantitativamente rilevante, nell’occorrenza della parola transizione - basta fare una ricerca su Google o su qualsiasi rassegna stampa digitale per accorgersene - è stato fatto con l’avvicinarsi prima e la parziale realizzazione poi – realizzazione che è ancora faticosamente in corso e su cui ci giochiamo un bel pezzo del nostro futuro - della transizione verde, ecologica, digitale.

Abbiamo oggi, con il governo Draghi, ben due ministeri intitolati alla transizione: quella ecologica, il cui titolare è Roberto Cingolani, e quella digitale, dicastero guidato da Vittorio Colao. Qual è il compito di questi ministeri? Letteralmente, quello di portarci da un’altra parte. Di farci partire da qui, cioè da un mondo ancora analogico, fossile e dunque inquinato, per portarci in un universo liquido, rispettoso dell’ambiente, ad emissioni quasi zero. Insomma, a trasformarci in qualcos’altro. Perché è questo che significa transizione. A meno che non si parli di transizione climatica, e allora la cosa cambia un po’. Qui è alle viste un disastro (cui la transizione ecologica potrà forse porre ancora rimedio) anche se si tratta pur sempre di una profonda trasformazione.

Transizione è un termine che compare per la prima volta nel XVI secolo e deriva dal tardo latino. Il verbo è transire, composto tra trans, al di là, e ire, andare. Passare da una parte all’altra (fino al passaggio estremo, quello dalla vita alla morte), da una situazione ad un’altra, da uno stato all’altro (come in fisica o in chimica, dove lo stato di transizione è quello a più alta energia e quindi il più instabile) non è mai un’operazione semplice, scontata, priva di dolore. E’ il caso, clamoroso, della transizione di genere, ovvero il percorso che porta qualcuno a cambiare sesso, a poter vivere nel genere in cui si identifica e non in quello del sesso biologico. Forse anche per questo per molto tempo nell’uso della lingua ha prevalso il significato di transizione come una stato incerto, indeterminato, intermedio. Uno stato quasi di attesa, in cui non ci aspettiamo molto. In questi casi parliamo di 'periodo di transizione' quasi ad indicare uno stallo.
Si parla di transizione di un distretto industriale (in genere in senso positivo: verde, sostenibile) ma anche del periodo di transizione di un partito politico o di una coalizione o addirittura di un governo, come è stato per esempio nel caso del governo afghano dopo la riconquista del paese da parte dei talebani. In questo caso prevale il significato, meno scintillante, di traghettamento, ci si riferisce ad una fase intermedia, dove l’accento cade più sul momento di attesa e di passaggio che sull’obiettivo di questo movimento, la meta finale. Così si parla e si è parlato di transizione ordinata, per esempio, nel settore del trasporto aereo in conseguenza degli effetti della Brexit. E quando Urbano Cairo, presidente e proprietario del Torino Calcio, parla di 'anno di transizione' è chiaro cosa vuole intendere: 'Ci aspetta un anno di transizione – ha detto quest’anno prima dell’inizio del campionato -, lo sa bene anche Juric. Non gli ho chiesto l'Europa, questo è il momento di costruire'. Tradotto: non aspettatevi nulla di esaltante, anche se quella transizione, sperano i tifosi del Toro, dovrà portare in futuro a risultati più eccitanti.

Eppure c‘è chi parla di 'transizione epocale', l’espressione è stata usata per presentare il Festivalfilosofia di Modena dedicato alla Libertà, senza peraltro che, proprio per la sua epocalità, sia ben chiaro e definito in cosa consista questo passaggio. Almeno fino a quando la transizione non viene chiaramente indicata come un cambiamento. C’è un aneddoto piuttosto noto che riguarda la vita e l’autoconsiderazione di Miles Davis, il celebre trombettista jazz, che ad una festa rispose così ad una signora che gli aveva chiesto 'ma lei cosa ha fatto nella vita?': 'Ho cambiato la musica quattro o cinque volte', fu la risposta. Il jazz lo fa, per definizione, e non a caso uno degli album più celebri di John Coltrane, il sassofonista che è stato uno dei pilastri di questa musica, si intitola proprio Transition.

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