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La parola della settimana è estate (di Massimo Sebastiani)

Redazione ANSA

Quando arriva l’estate, oltre al caldo, al senso di pausa e sospensione, allo svago, al divertimento, alla fuga, una delle cose che ci accompagna, dagli anni ’60 del Novecento ad oggi, è il cosiddetto tormentone, ovvero la (o le, nei periodi più ricchi) canzoni che accompagnano quelle settimane teoricamente ‘spensierate’.

‘Un’estate al mare’ di Giuni Russo – testo di Franco Battiato e musica di Giusto Pio - fu uno di questi e racchiude, nelle parole che usa e nell’atmosfera che evoca (‘Quest'estate cene andremo al mare per le vacanze / Un'estate al mare /Voglia di remare / Fare il bagno al largo / Per vedere da lontano gli ombrelloni) tutti gli elementi caratteristici dell’immaginario estivo, tanto più dopo un inverno e una primavera di lockdown e restrizioni.

Perfino in quella favola morale che è ‘Autunno, primavera, estate e ancora autunno’, il film del 2003 di Kim Ki-duk che racconta la formazione di un monaco buddista attraverso le stagioni della sua vita, l’estate è quella della trasgressione, in cui il giovane monaco cede alla tentazione e poi fugge dall’eremo L’alternarsi delle stagioni ha segnato la vita dell’uomo dai tempi remoti e per questo il loro succedersi, anzi la loro stessa creazione, è attribuita agli dei: Thot, il misuratore del tempo, in Egitto, in Grecia Zeus, che naturalmente fa partorire qualcuno, in questo caso la dea Temi,e il demiurgo Prajapati in India, che invece le crea attraverso la parola. Questo alternarsi scandisce il ciclo di morte e rinascita e si fa tradizionalmente iniziare con la primavera che è per l’appunto primus ver (dal sanscrito vas), che significa splendere, illuminare.

In questo contesto l’estate, almeno nell’emisfero boreale, cioè la porzione di Terra a nord dell’equatore, è la stagionedell’esplosione, della luce piena e abbagliantee del calore che precede il ripiegamento dell’autunno. D’altra parte la sua etimologia non lascia dubbi: la parola deriva dal latino aestus che come il greco aitho, ardo, discende dalla radice indoeuropea idh che significa ardere, accendere, infiammare. Aithos significa abbronzato dal caldo e dal sole e Aithiopos, Etiope è l’uomo dal volto bruciato. Non è difficile pensare quale sia la derivazione di Etna, per esempio. Le immagini che letteralmente ci assalgono quando pronunciamo queste espressioni sono quelle delle spighe di grano dorato, del verso delle cicale o delle scaglie palpitanti del mare sotto il sole brillante richiamate da Eugenio Montale in ‘Meriggiare pallido e assorto’.

Ma, come abbiamo detto spesso, l’etimologia non è tutto. E allora, per una volta, prima della pausa estiva appunto, prima di lasciar riposare e oziare anche le parole al caldo sole del meriggio estivo, almeno per qualche settimana, proviamo a giocare un po’ con la parola, più di quanto non abbiamo fatto finora. Ci sono infatti parole che si somigliano, quasi per magia, pur senza derivare dalla stessa radice. All’inizio di Into the wild, il film di Sean Penn tratto dalla vera storia di un ragazzo che fugge dalla famiglia e dalla vita civile per cercare se stesso in Alaska, si cita una poema di George Byron, il Pellegrinaggio del giovane Aroldo: ‘C’è una gioia nei boschi inesplorati, c’è un’estasi sulla spiaggia solitaria’. Eccola la parola che somiglia ad estate: estasi.

E Byron non è l’unico che le accosta, l’elenco sarebbe lunghissimo (e d’altra parte cos’è Meriggiare pallido e assorto se non una forma di estasi rurale?). Me è un irregolare studioso italiano, lo psichiatra e psicoanalista Elvio Fachinelli, scomparso a soli 60 anni nel 1989, a metterle psichicamente in relazione in un libro che si intitola La mente estatica e che si apre col capitolo Sulla spiaggia, in cui Fachinelli mette a fuoco quell’istante al tempo di stesso di torpore e di lucida illuminazione favorito dallo stare in riposo su una sdraio ipnotizzati di fronte a quello che definisce ‘il nastro del mare’. Prima abbiamo usato l’espressione ‘spensierato’.

A proposito di tracce della vicinanza tra estasi ed estate, in ‘Le cose che pensano’, una canzone del  cosiddetto secondo Battisti, quello della collaborazione con Pasquale Panella, che qui abbiamo già citato, si dice e si canta con i consueti calembours: ‘Su un dolce tedio a sdraio / Amore ti ignorai / Invece costeggiai / I lungomai / M'estasiai / ti spensierai’. Un approccio più tradizionale all’estate, che riassume molti dei piacevoli luoghi comuni che conosciamo, proprio come la canzone di Giuni Russo, è quello di un Renato Zero d’annata, Spiagge, in cui tra tanta ‘azzurrità’ c’è spazio anche per un’estate ‘puttana’.

 

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