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Czapski e l'epopea dei polacchi in Russia

Czapski e l'epopea dei polacchi in Russia

Volume storico con gli echi di Cechov e di Grossman

ROMA, 21 maggio 2023

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- RIPRODUZIONE RISERVATA

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JOZEF CZAPSKI, ''LA TERRA INUMANA'' (ADELPHI, pp. 460 - 28,00 euro - Traduzione di Andrea Ciccarelli e Tullia Villanova). Ci sono gli echi del viaggio a ''L'isola di Sachalin'' di Cechov come dei romanzi di Vasilij Grossman in questo libro storico, di indagine e viaggio di Jozef Czapski, la cui sostanza documentaria prende vita e forza grazie alle sue qualità di scrittura e di sentire, alla capacità di infondere umanità e moralità alle sue pagine, alle sue drammatiche esperienze in quella ''terra inumana'' che è la Russia stalinista, tra guerra e dopoguerra. Così ci metterà 5 anni, dal 1942 al 1947, a riprendere i suoi appunti e scrivere queste memorie, colpito da ''un tale annientamento degli esseri umani''.
    Non a caso Czapski è un intellettuale colto e raffinato, letterato laureato a San Pietroburgo e pittore e studioso di Proust, tanto che in prigionia tenne conferenze e illustrò l'opera ai suoi compagni, tutto a memoria (il racconto ''Proust a Grjazovec'' è stato anch'esso edito da Adephi). Passò infatti ''ventire mesi dietro il filo spinato'' in tre diversi campi di prigionia in Russia, prima che l'attacco tedesco lo riportasse in libertà come tutti i polacchi arrestati a cominciare dal 1939, per costituire un armata polacca che combattesse accanto ai sovietici, al comando del generale Wladyslaw Anders.
    All'ufficiale Czapski, nato a Praga nel 1896 da madre aristocratica e padre funzionario zarista, viene allora affidato un incarico particolare, quello di rintracciare quelle migliaia di ufficiali suoi connazionali deportati in quegli anni in vari campi e prigioni dell'Urss o ridotti in schiavitù nelle fabbriche. E' l'esperienza che viene narrata in questo esemplare testo di rara forza e capace di far emergere e rendere vive le storie singole nel tragico racconto corale.
    La sua è una ricerca che dura due anni e che diventa un viaggio tragico e umano nella Russia stalinista, registrando confessioni e testimonianze agghiaccianti. Un viaggio con pochi risultati, ma ricco di incontri, politici e militari, dal generale Nasedkin ''padrone della vita e la morte di qualcosa come venti milioni di persone'', essendo capo dei gulag siberiani, ai vertici della Nkvd, la Polizia politica e anche con scrittori come Ilya Erenburg e, più avanti, oramai diventato capo dell'Ufficio propaganda dell'esercito, Anna Achmatova. E del resto il racconto spesso rimanda e cita testi letterari, principalmente dell'amato Dostoevskij, perché la lettura di questo diario è coinvolgente proprio per la qualità della scrittura, per le capacità narrative di Czapski e il suo punto di vista, colto, letterario, a mediare la necessità documentaria.
    A essere introvabili sono diverse migliaia di polacchi e solo nel 1943 si scoprirà dove sono finiti, con la scoperta mostruosa delle fosse di Katyn, dove erano stati tutti trucidati. E, in appendice, le ultime 15 pagine sono un articolo di Czapski del 1948 proprio per spiegare quell'orrore, di circa cinquemila persone, prigionieri polacchi, tutte uccise con un colpo alla nuca dai russi, che però gettano le responsabilità sui tedeschi, arrivando a rompere i rapporti col governo polacco che li accusa, infine illustra le prove che si trattasse di tutti i prigionieri del campo di Kozel'sk, per aggiungere che ''è allora inevitabile chiedersi che fine avessero fatto i prigionieri dei campi di Starobel'sk e di Ostaskov: nessuno di loro è stato ritrovato a Katyn e ha poi mai dato segno di vita''.
    Nel peregrinare, il libro finisce con l'arrivo in Turkestan e poi Iran sempre nell' impegno di Anders di ricostruire l'esercito polacco. ''Allora non pensavo a ciò che poteva aspettarci dopo la sconfitta della Germania'', confessa Czapski, supponendo che dopo tutto sarebbe cambiato, e ricordando quindi ''la sopravvalutazione delle energie morali della 'grande democrazia'''. Ma non poteva non esserci speranza in chi elenca ''Il milione e mezzo di polacchi deportati da Stalin; i cadaveri dei bambini, alle stazioni di Leopoli e Tarnopol, gettati fuori dai finestrini dei carri bestiame pieni di deportati nell'inverno 1940; le intere province spopolate da distruzione e fame; le centinaia di migliaia di donne scaraventate nella nuda steppa", chiedendosi quindi desolato, ricordandoci il nostro Primo Levi, ''Che cosa significa un uomo?''.
   

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