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Le Voci in fuga del Nobel Gurnah

Le Voci in fuga del Nobel Gurnah

Storie di colonialismo in Africa nel 900 tra Germania e Tanzania

ROMA, 22 gennaio 2023, 10:16

di Paolo Petroni

ANSACheck

- RIPRODUZIONE RISERVATA

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ABDULRAZAK GURNAH, ''VOCI IN FUGA'' (LA NAVE DI TESEO, pp. 414 - 20,00 euro - Traduzione di Alberto Cristofori)

Gurnah, premio Nobel per la letteratura 2021 nato a Zanzibar nel 1948 e che vive in Inghilterra da quando aveva 19 anni, dà voce nei suoi romanzi alla sua Africa con quanto di devastato, socialmente e nelle anime, comporta la sua storia drammatica di colonialismi brutali e snaturanti. Scrive così vicende che spaziano per tutto il Novecento, tra Europa e appunto Africa, in particolare quell'Ostafrika di cui è nativo, occupata e sfruttata dai tedeschi prima e poi dagli inglesi. Così Ilyas, la figura che allunga la sua ombra su tutti gli altri personaggi di questa storia, dimentico delle sue origini, fedele a se stesso e a quella sua infanzia a fine Ottocento in una famiglia di tedeschi in Tanzania, in cui, rapito bambino, era cresciuto sentendosi orgogliosamente uno di loro, rimarrà sino alla fine. Allora, quei tedeschi che, come dice in modo colorito un uomo incontrato da ragazzo in un bar, se lo sono mangiato, finiranno per inghiottirlo davvero, lui che era stato askaro volontario nelle schutztruppe nella grande guerra e, da allora, a casa sua non ne avevano saputo più nulla, visto che lui non si era fatto mai più vivo. Sarà questa assenza, questo vuoto, questo non sapere a segnare tutto e tutti nel bisogno di capire, che si manifesta in particolar modo nel nipote di Ilyas, il figlio di sua sorella cui questa ha sentito il bisogno di dare quello stesso nome, il quale comincerà a sentire un richiamo, una voce che lo interroga e perseguita su quale fine abbia fatto lo zio: per lui, viene allora spiegato, "non ci sarà cura finché non lo ritrovate o non ne avete notizia, solo allora la visitatrice imparerà a convivere col dolore della sua assenza e smetterà di tormentare il ragazzo". Sarà proprio lui quindi, passata anche la seconda guerra mondiale e divenuta la Tanzania indipendente, a trovare negli anni '60 una soluzione al giallo che segna la sua vita, compiendo le difficili ricerche negli archivi della Germania tra Friburgo, Coblenza e Bonn, per ricostruire cosa accadde allo zio Ilyas, da quando, scopre, fu ferito nella cruenta battaglia di Mahiwa nell'ottobre del 1917, e tra tante avventure e mestieri diversi arriverà a conoscere le cause paradossali della sua morte nel 1942. La forza e l'interesse del romanzo, comunque, è nella particolare scrittura e abile costruzione della trama e soprattutto, oltre che in questo emblematico filo rosso, nel narrare la vita della cittadina costiera della Tanzania nei primi anni del Novecento, dandoci un quadro storico e di ambiente e facendoci conoscere gli altri personaggi, da Khalifa, che accoglierà in casa il giovane Iliyas che, alla partenza per la guerra, gli affiderà la sorella Afiya, che si innamorerà del reduce dalla guerra Hamza, perseguitato dagli incubi di ciò che ha visto e vissuto, ma che con lei troverà la forza per andare avanti e avranno appunto un figlio, che chiameranno col nome dello zio scomparso, ma sempre vivo nel cuore della sorella. E in queste figure vive negli anni il senso di devastazione, di vuoto e angoscia che non passa lasciato dagli invasori.
    Ci sono dialoghi e racconti, un modo di palesare la ferocia tedesca attraverso la vita e la psicologia dei vari personaggi, che quella realtà fanno risaltare in modo chiaro e diretto, pur ricordandone anche ambiguità e coinvolgimento. Però, pare dirci lo scrittore, la mia gente ha anche e voluto e ritrovato la voglia di riprendere la propria vita, di sperare in un futuro diverso.
   

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