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'Memorie di un baro' di Sacha Guitry

'Memorie di un baro' di Sacha Guitry

trucchi e sistemi al Casinò di Monaco e la morale del vero baro

ROMA, 09 gennaio 2023, 14:09

(di Paolo Petroni)

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- RIPRODUZIONE RISERVATA

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 SACHA GUITRY, ''MEMORIE DI UN BARO'' (ADELPHI, pp. 136 - 13,00 euro - Traduzione di Davide Tortorella). Ecco il libretto, un romanzesco racconto lungo su come diventare un baro, dalla scrittura vivace e ironica, leggero e garbato, difficile da leggere in altro modo o da cercarvi una chiave esistenziale in quel vivere barando, semmai, grazie al finale a sorpresa, c'è un ombra di educazione sentimentale o di racconto di formazione, che l'io narrante spera sia ''divertente e istruttivo per coloro che ancora sanno apprezzare la schiettezza''. E' l'unica prova narrativa lunga di un attore e autore teatrale di gran successo, Sacha Guitry (1885-1957), considerato in Francia un po' l'erede di Feydeau, che era amico di suo padre e lo sostenne agli inizi.
    Critico verso chi poteva pensare che ''ciò che è serio fosse più serio di ciò che fa ridere'', anche in questo gioco dell'amore e del caso è come non prendesse nulla sul serio, ed è la sua forza e il divertimento di chi lo legge. Comincia raccontando come sia l'unico sopravvissuto di una famiglia sterminata da funghi velenosi (''Chi non ha visto undici cadaveri tutti assieme non può neppure immaginare la quantità di cadaveri che sono''). Funghi che a lui ragazzino, per punizione, avendo rubato otto soldi, gli erano stati negati. Inizia così la sua storia quasi da Oliwer Twist francese, cresciuto in casa di un patrigno e una matrigna ''meschini e cattivi'' da cui un bel giorno deciderà di fuggire facendo diversi mestieri, prima in un ristorante di provincia, poi fattorino in un grand hotel di un posto di vacanza, quindi in uno di Parigi: ''Tutte le città hanno un cuore.... ma il cuore di Parigi ognuno lo mette dove gli pare'', spiega in una pagina sulla vita della Ville lumière di fine Ottocento.
    Lui ha le idee chiare, a cominciare dal valore del denaro: ''essere ricchi non è avere soldi: è spenderli... se volete una banconota vi renda i 5 franchi del suo titolo dovete spenderla, altrimenti è solo un pezzo di carta''. E al suo ideale di vita resterà fedele, a cominiciare da quando si trasferisce nel principato di Monaco, dove resterà 18 anni, da l899 al 1917, dopo aver denunciato un gruppo di rivoluzionari russi che lo avevano contattato per organizzare un attentato allo Zar Nicola II. A Monaco diventa Croupier e perde la verginità con una ricca contessa cinquantenne, conosciuta ai tavoli da gioco, a poi si sposa con Henriette Gertrude Bled per entrare in società con lei e barare truffando il Casinò, che lo scopre e lo licenzia.
    Comincia così una carriera di baro solitario, con curiose pagine sui vari sistemi per cercare di vincere. ''Ci saranno mestieri più belli, ce ne saranno anche di più lucrosi, chi lo nega? ma di più divertenti no, non ne conosco.... Barare significa intralciare i progetti del caso''.
    Ed è proprio il caso, che non si fa ostacolare da nulla, a fargli rincontrare Charbonnier, l'uomo che gli salvò la vita durante la grande guerra e gli attacca la febbre del vero gioco, per cui ''quando si è giocatori, giocatori sul serio, non si può barare: non ci si può sostituire al caso''. Ed è così che perde tutto, si rovina, costretto a tornare a una misera vita normale da impiegato, ma che un quarto delo stipendio continua a dedicarlo al gioco che ''ha un influsso eccellente sull'umore''.
    Ed è proprio sulle notazioni, le curiosità, l'analisi di questa passione affascinante e pericolosa, ''ma cosa non è pericoloso enlla vita?'', che il racconto ha una suo fascino, dedicato sin dall'inizio ''A uno dei miei migliori amici: il caso''. In appendice un bel saggio di Edgardo Framzosini, ''La leggerezza del megalomane'', su Sacha Guitry: ''Una carriera piena di successi, una vita da nababbo. Il piacere irresistibile dell'ostentazione. Un ego smisurato. Tutto questo finirà prima o poi per esasperare qualcuno'', cosa che di conseguenza lo porta a dire: ''sono uno di quegli uomini cui non viene mai perdonato nulla''.
   

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