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L'esemplare storia di Gaetano Azzariti

ANSA/Libro del giorno

L'esemplare storia di Gaetano Azzariti

Magistrato dal Tribunale della razza alla Corte Costituzionale

ROMA, 24 aprile 2022, 13:19

Paolo Petroni

ANSACheck

- RIPRODUZIONE RISERVATA

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MASSIMILIANO BONI, ''IN QUESTI TEMPI DI FERVORE E DI GLORIA'' (BOLLATI BORINGHIERI, pp. 352 - 26,00 euro). Alla Consulta esiste il busto, come di altri ex presidenti della Corte Costituzionale repubblicana, di una personalità esemplare e deprecabile come Gaetano Azzariti, che quella carica resse dal 1957 alla sua morte ottantenne nel 1961, anche se, dopo varie richieste respinte di rimozione, nel 2015 è sparito misteriosamente in qualche magazzino in nome di un certo imbarazzo storico, che comunque finisce per nascondere una macchia del nostro passato su cui invece credo sarebbe bene non si smetta di riflettere, specie in un luogo come quello. Per questo dovrebbe cercare di pensare come intervenire sulla cosa con la sua abituale sottigliezza l'attuale presidente Amato.
    Azzariti infatti, fascista che contribuisce sostanzialmente alla definizione del nuovo Codice Civile, macchiandosi poi da legislatore aderendo al Manifesto della razza, collaborando alle stesura delle Leggi raziali del '38 e arrivando quindi a presiedere quell'obbrobrio umano e giuridico che fu il Tribunale della Razza, sfuggito con abilità all'epurazione postbellica, è uno degli esempi e dei risultati più negativi della realpolitik di Palmiro Togliatti dopo la Liberazione. Ministro della Giustizia, lo scelse nel giugno 1944 come collaboratore per gestire la ricostruzione amministrativa dello stato, che questi ben conosce, e membro delle due Commissioni per la riorganizzazione dello Stato e sulla riforma dell'amministrazione, nell'ambito del ministero per la Costituente, contribuendo così direttamente all'amnistia del 1946 che chiudeva nel paese ogni conto col passato fascista e di guerra. Dopo gli anni aspri della guerra civile prevale un senso di ripresa e continuità che finì per basarsi sulle istituzioni e gli assetti sociali del passato.
    Dopo aver svolto tutta la sua carriera sotto il regime (direttore dell'ufficio legislativo del Ministero; consigliere di Corte d'Appello; presidente di sezione della Cassazione) e poi essere riuscito a diventare lui stesso a sorpresa Ministro della giustizia nel primo governo Badoglio dopo il 25 luglio 1943, Azzariti avrà un posto nevralgico nella costruzione della Repubblica, andando in pensione nel 1951 e venendo poi nominato nel 1957 Giudice costituzionale dal presidente Gronchi.
    Cresciuto e diventato magistrato nel regno dell'Italia tardo liberale dove inizia la sua collaborazione alla costruzione dell'ordinamento giuridico del paese (oltre che segretario per la revisione dei Codici delle colonie), che prosegue nel ventennio fascista e riprende nel periodo della nascita della Repubblica, questo magistrato legislatore è l'esempio grottesco di quell'idea ottocentesca, quasi militare, di servitore dello stato, che svolge il proprio lavoro ''tecnico'', a prescindere da qualsiasi circostanza etica, ideologica e politica. Un'idea che solo per certi versi va a coincidere con l'indipendenza della magistratura che, specie nel passato, la salvò da un eccesso di politicizzazione. Qui allora è bene ricordare, come fa Boni, le parole di Leone Ginzburg: ''Ritengo che la pura tecnica giuridica , al di là dei valori etico politici, esista solo nei gradini più bassi. Più si sale e meno è possibile che l'atto tecnico rimanga puramente tecnico, non si colori di qualcos'altro''. E a dimostrazione, le prese di posizione pubbliche di Azzariti sono eloquenti arrivando all'aberrazione di '' Oggi l'appartenenza a determinate razze è causa di limitazioni della capacità giuridica'', senza dimenticare la retorica di definire ''l'orgoglio di italiani in questi tempi di fervore e di gloria'' grazie alla ''libertà dell'Italia fascista guidata dal suo Duce''.
    Una vicenda apparentemente paradossale, vergognosa e assurda quindi, eppure paradigmatica dei trasformismi e contraddizioni della nostra storia novecentesca e per questo non da occultare, come si è fatto sino ad oggi, ma da studiare, come ha fatto finalmente con estrema attenzione Boni con questo suo libro frutto di accurate ricerche documentarie (con la sostanziale parte dedicata a Leggi razziali e Tribunale della Razza), e da non dimenticare per far sì che ci si liberi finalmente di certi strascichi del passato ancora vivi, proprio per come nacquero.
   
   

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