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Alps, attori per far rivivere i morti

Alps, attori per far rivivere i morti

In sala dal 17 settembre il film di Yorgos Lanthimos

ROMA, 16 settembre 2020, 20:31

di Francesco Gallo

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La locandina del film Alps - RIPRODUZIONE RISERVATA

La locandina del film Alps - RIPRODUZIONE RISERVATA
La locandina del film Alps - RIPRODUZIONE RISERVATA

ROMA - Nessun paesaggio, solo quelli mentali. Così nello stile del regista greco Yorgos Lanthimos arriva in sala dal 17 settembre, con la Phoenix International Film, Alps. Incipit con i Carmina Burana per un film cupo e denso nello stile di The Lobster (Premio della giuria al Festival di Cannes 2015). Ambientato ad Atene, Alps mette in scena una singolare squadra formata da un paramedico (Aris Servetalis), un'infermiera (Aggeliki Papoulia), una ginnasta (Ariane Labed) e il suo allenatore (Johnny Vekris). Ovvero una squadra di persone che sostituiscono, sotto compenso, persone appena defunte per aiutare amici e parenti a lenire il dolore dell'elaborazione del lutto.

Si fanno chiamare Alps (Alpi), nel senso che possono rappresentare qualsiasi altra montagna al mondo, ma non possono essere mai davvero scambiate per le vette originali. Così ognuno di loro, non a caso, porta il nome di una cima. Ma qualcosa sfugge, ad esempio a Monte Rosa, l'infermiera del gruppo, che si ritrova ad assistere in ospedale una giovane giocatrice di tennis che ha appena avuto un incidente ed è ormai in punto di morte. Senza rivelarlo agli altri membri del gruppo, Monte Rosa comincia lentamente davvero a sostituirsi alla ragazza e ad assumerne poco a poco l'identità.

''Quale era il suo attore preferito?'' chiedono per prima cosa i quattro membri del gruppo ai parenti dei defunti, a significare che è proprio dalla sfera emotiva dell'interpretazione attoriale che occorre partire per ricostruire quelle costellazioni familiari, fatte di affetti e ricordi, che servono a ricomporre le ferite della perdita.

Alps, va detto, arriva in sala dopo nove anni, essendo stato presentato in concorso alla 68/ma Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia dove vinse nel 2011 il Premio Osella per la migliore sceneggiatura, "Sì, certo la perdita dell'identità è parte del processo del film - spiega il regista facendo riferimento al caso dell'infermiera - . Quelli che appartengono alle Alpi vogliono essere differenti, vogliono trovare un modo per appartenere ad un luogo, per essere amati, per essere apprezzati".

Per quanto riguarda i toni fantastici di Alps, "io non parlerei tanto di mondo immaginario - dice Lanthimos -, perché a me non interessa a raccontare un mondo fasullo nei miei film, ma dare risalto situazioni che non sono così frequenti. E' il tono del film che rende tutto surreale, ma la storia è assolutamente credibile. Volevamo testare il comportamento umano a contatto con situazioni tanto estreme, in modo da spingere lo spettatore a trarre le sue conclusioni. Non giudichiamo nessuno, non diciamo chi ha torto o ha ragione. Lo humour è chiaramente surreale. Se ci vedete una metafora di qualcosa - conclude il regista al quale è dedicato un libro appena uscito dal titolo Anestesia di solitudini - , mi va benissimo, ma non era nelle nostre intenzioni operare una riflessione del genere. Tutto quello che volevamo dire è nella storia e nelle immagini del film". 

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