(di Elisabetta Stefanelli)
(ANSA) - ROMA, 24 MAR - ''Con il sacrificio, l'impegno, una
vivida intelligenza la 'provinciale' Rosetta (veniva da una
Vigevano molto laboriosa e molto classista) era l'unica donna
che collaborava nei calcoli di Fermi, Amaldi, Pontecorvo, negli
anni Trenta. Al momento di lasciare l'Italia per sfuggire alla
morsa fascista, uno di questi ragazzi di Via Panisperna, di cui
Rosetta non svela il nome, le lasciò alcuni documenti e altri
fogli. Forse di carattere privato, forse inerenti alla propria
ricerca. Ma qualche tempo dopo Ennio, in un raptus di gelosia,
le impose di bruciare tutto. Era una ricercatrice di valore,
esistono alcuni lavori statistici da lei firmati, insegnò a Roma
e a Napoli dove praticamente sostituiva nella cattedra di fisica
un noto parlamentare che aveva avuto l'incarico per ragioni
politiche, ma non era in grado assolutamente di affrontare la
materia davanti agli studenti''. Così racconta all'ANSA
Francesca Pansa che con Renato Minore firma il volume
'ENNIO L'ALIENO. I giorni di Flaiano' (Mondadori, pag. 220, Euro
18,50), libro tra i candidati al Premio Strega, dove appunto si
racconta anche la vicenda della moglie Rosetta.
Perché avete scelto di raccontarla?
''In un libro postumo di Ennio, 'Un bel giorno di libertà" -
spiega Pansa -, la sua invisibile presenza. Lei pubblica un
diario privato del marito. Lui racconta la nascita della figlia,
i suoi primi giorni quando Roma è sotto i bombardamenti del
1943, la comparsa della malattia e la convinzione che possa
guarire dopo pochi mesi. E mette la firma in quel diario.
Rosetta no, la firma non la mette, ha capito che non è guarita,
che non guarirà mai. Io ebbi subito un'immediata simpatia per
questa donna sempre come ai margini nelle sue poche immagini in
cui compare. Lei con Ennio nella notte romana da fidanzati alla
fine degli anni Trenta sorridente, partecipe di quei giorni di
bohème letteraria. Lei ai margini della foto, in un incontro a
Madrid con il regista Berlanga per cui Ennio aveva scritto una
sceneggiatura. Lei con la figlia Lè Lè sulla sabbia a Fregene''.
Che ruolo ha avuto nella vita e anche nell'opera di Flaiano?
''È stata la compagna di Ennio nelle serate romane letterarie
per molti anni. Ci ha lasciato qualche viva testimonianza di
quelle conversazioni, di quei progetti letterari, di quella vita
comunitaria tra Piazza di Spagna e la libreria Rossetti -
continua l'autrice - che aveva al centro personaggi come
Cardarelli, Brancati, Penna, Palazzeschi, i pittori di Via
Margutta, Mafai, Vespignani, Fazzini, Scialoja. Al mondo del
cinema, era un po' estranea, qualche volta ostile anche se
pensava che Ennio, nonostante le molte delusioni, ne fosse
attratto. Quel modo di scrivere soggetti e sceneggiature per lei
gli era molto congeniale. Soffriva molto del fatto che come
scrittore non fosse molto letto, ma citato solo attraverso le
battute peggiori. E raccontava di aver molto sofferto quando, a
casa Bellonci, un'amica della Domenica si era rivolta al marito
dicendogli "Venga , venga Flaiano, mi dica una flaianata".
Il suo sacrificio è stato nel nome del marito ma soprattutto in
quello della malattia della figlia Lè-Lè… Non c'è dubbio. La
malattia l'ha isolata dalla vita di relazioni, l'ha emarginata
sempre più nel lavoro, le ha imposto vincoli e doveri che non si
sono mai allentati, ma le ha dato anche la forza e la
consapevolezza di dover agire in una situazione di continua
emergenza, affrontata con coraggio, determinazione con scelte
anche quotidiane e decisioni che riguardavano i giorni futuri.
Ennio è stato profondamente travolto dalla condizione in cui
versava Lè Lè, dallo scherzo atroce del caso che era diventato
il suo destino. La sua scrittura porta i colori di quella sua
ferita mai rimarginata. Credo che non sia stato molto presente,
si sia stordito, per dimenticare, di lavoro, di viaggi, di altre
presenze femminili''.
L'accudimento è un limite o una risorsa?
''Nel caso di Rosetta era l'unica strada possibile. A quei
tempi, nella quasi totale assenza di ogni istituzione nei
confronti di disabilità così gravi non c'era altra soluzione. Ma
è stato anche una risorsa: perché ha dato a lei l'imprinting di
un'esperienza davvero fondamentale, di prossimità, di dolore, di
cura, di quelle che segnano l'esistenza in profondità e non
permettono cedimenti né alibi''.
Lei, che l'ha conosciuta, che ricordo ne ha?
''Negli anni Novanta, mi capitò di incontrarla due volte, in
presentazioni del libro che aveva curato, a Roma e in Abruzzo, a
Teramo. Lè Lè era morta da qualche anno. Il libro era
bellissimo, "Mi riguarda", pieno di storie di vita, di
testimonianze preziose. Raccoglieva le voci di alcuni scrittori
tra i maggiori come Giuseppe Pontiggia e Giancarlo De Cataldo,
Clara Sereni, che avevano avuto figli disabili. Tanti ritratti
pieni di amore e di dolore, poi il problema della cura,
dell'assistenza, dell'isolamento delle famiglie, del silenzio da
cui molto spesso queste storie erano avvolte. Rosetta usciva dal
silenzio che l'aveva sempre circondata. Disse tra l'altro: "Io e
Ennio dovevamo nasconderci, ci si scontrava in un muro di
silenzio, eravamo isolati, come complici di una colpa che
scontavamo".
E non dimentica gli intellettuali che frequentavano la sua casa
di Fregene, la sua sensibilità è particolarmente ferita dal
comportamento di Federico Fellini che finge di non vedere Lè Lè,
quasi la sfugge e consiglia di metterla in un manicomio''.
(ANSA).