(di Marzia Apice)
PIETRO GRASSO (con Alessio Pasquini),
IL MIO AMICO GIOVANNI (Feltrinelli, pp.160, 13 euro). "Sento il
pericolo che la scintilla degli occhi di Giovanni e il sorriso
di Paolo possano scolorire nel ricordo. A 30 anni dalle stragi,
metto le mie memorie nero su bianco e le affido ai ragazzi,
affinché possano sapere". C'è tutto l'impegno morale, civile e
politico di Pietro Grasso, accanto alla sua inesauribile
passione per la cultura della legalità, nel libro "Il mio amico
Giovanni" (Feltrinelli), che l'ex presidente del Senato ha
scritto per continuare a condividere con le nuove generazioni la
propria esperienza di testimone e protagonista della lotta alla
mafia. "Ho il dovere di raccontare con nuovo vigore e slancio i
ricordi di un'esistenza vissuta con Giovanni Falcone, che posso
considerare un amico e che ha condizionato la mia vita
professionale e familiare", spiega Grasso in un'intervista
all'ANSA. Con la prefazione di Roberto Saviano, il libro
ripercorre le vicende che hanno scandito la carriera
dell'autore, quando era un giovane magistrato, poi giudice a
latere del Maxiprocesso di Palermo e procuratore antimafia: un
racconto autentico, toccante e appassionato, scritto con
semplicità, nel quale emergono i ritratti di Falcone e
Borsellino, colleghi ma soprattutto amici che hanno condiviso
con Grasso il suo percorso umano e lavorativo. "Voglio evitare
che si cada nell'indifferenza e nella rassegnazione, terreno in
cui le mafie vecchie e nuove prosperano. E voglio che la
speranza che i giovani hanno nel futuro non sia delusa: per
questo oggi tutto il mio tempo libero è per loro, cerco sempre
di incontrare i ragazzi, anche se questo significa sacrificare
tempo ai miei impegni e alla famiglia, ma mia moglie è
insegnante e dunque mi comprende", prosegue, "ai giovani offro
la mia testimonianza diretta, e racconto storie, che poi sono
proprio quelle che restano più impresse. A volte mi capita di
incontrare gli stessi ragazzi dopo anni, e la mia più grande
gratificazione è quando qualcuno di loro mi dice: oggi se devo
scegliere so da che parte stare, da quella della legalità".
"Voglio dare la possibilità di conoscere non l'eroe, ma l'uomo
Giovanni Falcone: sembrava serioso, distaccato, in realtà la sua
diffidenza nei confronti delle persone era uno scudo per capire
bene chi aveva davanti. Ma con gli amici era diverso, aveva un
incredibile humour inglese e giocava sempre con i nomi", dice
ancora Grasso, che non manca di ricordare dell'amico anche "la
grande capacità strategica, di prevedere cose, di capire la
mafia nelle sue sfaccettature. Quando tutti brindavano per la
conferma della sentenza del Maxiprocesso, nel 1992, lui era
perplesso e si aspettava una reazione. O anche dopo il 12 marzo
quando fu ucciso Salvo Lima, Falcone disse che poteva succedere
di tutto". Lei ha dichiarato di sentirsi un sopravvissuto. "E'
così, dovevo tornare con lui il giorno della strage di Capaci,
invece all'ultimo minuto trovai un posto in aereo la sera prima.
E tante altre volte la mia vita è stata in pericolo: capita che
i ragazzi stessi mi chiedano come io abbia fatto a
sopravvivere", prosegue, "spesso mi sento in colpa. Forse se il
Maxiprocesso non avesse avuto così successo Giovanni e Paolo
sarebbero ancora vivi. Ma poi penso a quanto fossero determinati
ad andare avanti in questa guerra di liberazione del popolo
siciliano intimidito e assoggettato. Loro avrebbero continuato e
io davanti alle loro bare ho giurato che mi sarei impegnato al
massimo". E ora, a che punto siamo nella lotta alla mafia? "La
mafia è cambiata, non c'è più il contrasto aperto alle
istituzioni, ma il tentativo costante di infiltrarsi
nell'economia. I principi alla base però restano:
l'intimidazione e nessun rispetto per la vita", dice, "ora con
l'arrivo dei soldi del Pnrr l'attenzione deve essere massima, ma
i controlli non devono provocare ritardi. Il principio comunque
è quello di Falcone, follow the money, perché i soldi lasciano
sempre traccia". E' vero che non si separa mai dall'accendino
che le ha regalato Falcone poche settimane prima di morire? "Sì,
è sempre nel taschino o nella borsa. Quando mi trovo davanti a
una difficoltà lo sfioro e mi dà la forza di andare avanti".
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