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Dargen D'Amico: "A Sanremo per capire qualcosa di me"

In gara con Dove si balla, tra pandemia e leggerezza

di Claudia Fascia ROMA

Il festival di Sanremo, finora, Dargen D'Amico lo aveva vissuto come autore (l'anno scorso per Annalisa e per Francesca Michielin e Fedez) o come giurato per Area Sanremo (nel 2013).
    Perché lui, Jacopo D'Amico, ha sempre preferito mandare avanti la sua musica, celandosi dietro i suoi occhiali scuri d'ordinanza. Stavolta, invece, dovrà metterci la faccia con i riflettori puntati su di lui, perché Amadeus lo ha voluto tra i 25 Big in gara, con Dove si balla, scritto insieme a Gianluigi Fazio, Edwyn Roberts e Andrea Bonomo. Tra le "mascherine" ormai indispensabili, gli "incubi mediterranei, che brutta fine fermi al confine" sulle migrazioni di ieri e di oggi che senza una soluzione si trasformano in tragedie, e "senza live con il pile sul divano" dopo le limitazioni ai concerti causa covid, un brano che è una finestra aperta sul mondo di oggi, a ritmo dance.
    Partito dal mondo del rap negli anni Novanta, approdato a una musica più vicina al pop, produttore discografico, dj, amante della collaborazioni (se ne contano decine), Dargen D'Amico, classe 1980, si presenta come "cantautorap", da una parte pescando a piene mani dalla tradizione cantautorale italiana (non ha mai negato l'influenza che ha avuto su di lui Lucio Dalla), dall'altra portando avanti una lunga ricerca che attraversa i territori della musica classica e dell'elettronica per ricongiungersi al pop. "Il pop ha inglobato l'urban e io, come tanti altri, mi ci sono ritrovato. A 40 anni compiuti sento di essere cambiato, di essermi evoluto. Tendo ad avere dei momenti di passaggio al compimento delle decine, sono legato al numero e al passaggio di decade. Mi era successo anche con i 30, con una crisi personale - racconta all'ANSA -. Cambio il modo di vedere le cose, elimino abitudini per rimpiazzarle con altre, ridefinisco la condivisione degli spazi e del tempo nel rapporto con gli altri. E' come un ritorno a me stesso. E prendo le esperienze per guardarmi da fuori e indagarmi".
    Anche il festival, dove arriva non senza aver suscitato una certa curiosità ("io ho scoperto al Tg di essere stato preso") e con un disco già pronto nel cassetto, lo considera "un passaggio da un livello all'altro. Come un radar, capirò qualcosa in più di me". E forse va anche in questa direzione la scelta di non chiamare nessuno accanto a sé come ospite nella serata delle cover, per la quale proporrà La Bambola di Patty Pravo. Una scelta spiazzante per chi nel corso degli anni ha collaborato, per citarne qualcuno, con Club Dogo, Fabri Fibra, Crookers, Two Fingerz, Marracash, J-Ax, Rancore, Max Pezzali, Fedez, Tedua, Stylophonic, Emiliano Pepe. "Amo le collaborazioni non solo per la musica che si fa insieme, ma anche per il tempo che si passa, un lato della musica che vivono solo gli addetti ai lavori.
    Perché ricordiamocelo, questo è un lavoro - sottolinea Dargen D'Amico -. Anche se da due anni a questa parte per molti non può più esserlo". Abbandonati dalla politica sì, ma non solo. Le responsabilità sono anche da parte dei musicisti stessi. "Non abbiamo un sindacato, non c'è un gruppo forte che abbia autorevolezza per sedersi a tavoli istituzionali. La musica è uno sport individuale, dove nessuno si sente di appartenere a una famiglia. Ad un certo punto sembrava che stesse per succedere qualcosa, ma poi è finita lì. Sarebbe bello se anche la scienza si sedesse con noi per trovare una soluzione sui concerti".
    All'Ariston, intanto, Jacopo dovrà mettere da parte la sua ritrosia, ma questo non sembra preoccuparlo più di tanto. "Mi concentro sulla definizione: festival della canzone italiana e quindi partecipo con il mio brano. L'obbligo lo sento solo in questo senso, il resto è tutto accessorio, anche i miei occhiali da sole, ai quali non credo che rinuncerò. Un controsenso? La vita è piena di controsensi. Del resto chi avrebbe mai immaginato qualche tempo fa che sarei finito a Sanremo?".
    (ANSA).
   

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