Sempre meno prati 'stabili', quelli
da molto tempo destinati al pascolo, in Italia come in tutta
Europa. Nel nostro Paese negli ultimi quarant'anni se ne è perso
un quarto, ora ne sono rimasti 32 mila chilometri quadrati.
Colpa del consumo del suolo e dell'agricoltura di tipo
industriale nelle pianure, dell'abbandono in montagna. Eppure i
prati naturali sono fondamentali per la biodiversità animale e
vegetale, per il benessere degli animali e per avere latte da
formaggi sani e ricchi di nutrienti. Il tema è stato affrontato
oggi a 'Cheese', la rassegna internazionale sulle 'forme del
latte' che si tiene fino a lunedì a Bra
"Il Piemonte - ha fatto notare Giampiero Lombardi, docente
di alpicoltura, all'Università di Torino - ospita il 30% dei
prati del nord Italia, anche grazie a un ritorno alla
praticoltura negli ultimi anni. Altrove la situazione è meno
positiva: è ancora recuperabile, ma ci sono campanelli d'allarme
importanti".
La caratteristica principale di questi prati - ha spiegato
Irene Piccini, ricercatrice presso il Dipartimento di scienze
della vita e biologia dei sistemi all'Università di Torino - "è
che richiamano moltissimi insetti, fondamentali per
l'impollinazione, che a loro volta attirano altri animali, come
ad esempio gli uccelli e tutti gli altri predatori".
In media - ha sottolineato Giampaolo Gaiarin, tecnologo
alimentare e collaboratore della Fondazione Slow Food per la
Biodiversità Onlus - "una vacca alimentata con insilati di mais
riesce a sostenere un parto e mezzo, contro i sette, otto, anche
dieci, di un animale delle vallate alpine, perché
l'alimentazione ha un influsso notevole sullo stato di salute
degli animali. E poi - ha concluso Gaiarin - c'è la questione
della maggiore complessità aromatica e gustativa e l'aspetto
legato alla salubrità: i formaggi alimentati al prato hanno un
minore contenuto di grassi saturi, mentre aumentano gli Omega
3".
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