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Un mese h24 coi malati, prete al Covid Hospital

L'esperienza di don Galante a Schiavonia, sostegno anche ai medici

    Stare vicino ai malati fino alla fine, e al fianco degli operatori sanitari per sostenerli spiritualmente nel loro difficile lavoro. E' la delicata "missione" svolta da don Marco Galante, 46 anni, amministratore di quattro parrocchie ai piedi dei Colli Euganei (San Giacomo, Ca' Oddo, Schiavonia e Marendole) e da sei anni cappellano nel presidio di Monselice dell'Ulss 6 Euganea. Don Marco ha visto con i suoi occhi le conseguenze della pandemia, vivendo per un mese H24 dentro l'ospedale di Schiavonia, primo Covid Hospital del Veneto e d'Italia, in provincia di Padova, dove il 21 febbraio 2020 morì la vittima numero uno del coronavirus.

    "È stata un'esperienza dura, impegnativa - sottolinea -. A volte subentra anche un senso di impotenza, come quando un paziente ti chiede un po' d'aria e non sai come aiutarlo". La Chiesa di Padova si è sentita coinvolta dall'emergenza e ha deciso di lanciare un segnale concreto chiedendo a don Marco di alleviare la solitudine dei malati, impossibilitati a ricevere visite, e dare sostegno umano e spirituale al personale ospedaliero e medico. Una decisione presa dal vescovo Claudio Cipolla e annunciata nella messa del 2 novembre 2020 al Cimitero Maggiore di Padova.

    "Per indicare che i cristiani sono chiamati a servire la vita in tutti i suoi momenti, anche quelli della malattia, ho incaricato un prete della nostra Diocesi per una missione particolare: stare 24 ore su 24 presso l'ospedale di Schiavonia a disposizione degli ammalati di Covid, dei loro famigliari, degli operatori sanitari: un modo per annunciare il Vangelo della vita, un segno per invitare tutti a servire la vita e a testimoniare che Dio ama la vita, questa nostra vita umana anche nei suoi momenti più estremi", fece sapere il vescovo durante l'omelia.

    Col nome scritto col pennarello sulle tute anti-Covid, come medici ed operatori sanitari, don Marco ha vissuto quindi, nel novembre 2020, all'interno dell'ospedale seguendo anche un corso di "vestizione" per apprendere il corretto utilizzo dei dispositivi di protezione in dotazione ai sanitari. Bardato con camice, calzari, cuffietta, visiera, guanti, mascherina, ha fatto quotidianamente il giro dei malati colpiti dal virus per portare conforto e fiducia, sostenendo le famiglie che hanno perso i propri cari.

    Don Marco ha anche raccontato la sua straordinaria esperienza umana a Giovanni Panozzo nel corto dal titolo "Vide e si fermò", della serie sulle vite e sulla missione dei sacerdoti, disponibile nel canale youtube "Insieme ai sacerdoti", per conto dell'Istituto per il Sostentamento del Clero.

    "La prima medicina che somministro - spiega - è quella della speranza. Spesso le persone ricoverate, soprattutto nei primi giorni, sono intimorite dalla malattia che non sanno come evolverà. Io le ascolto e prego con loro. Anche se, secondo i protocolli, la visita deve essere veloce vedo che, di solito, quando si comincia a pregare, le persone si rasserenano".

    Dalla preghiera in corsia a quella in chiesa. Nel pomeriggio il cappellano si è dedicato all'aspetto spirituale, celebrando la messa nella cappella del Covid Hospital, dotata di una telecamera che rimanda le immagini in diretta nelle televisioni a circuito chiuso poste ai piedi di ogni letto per consentire ai malati di pregare tutti insieme, senza che nessuno si debba spostare dalla propria stanza. Due volte alla settimana ha officiato la messa per il personale. e la sera si è sempre collegato online con i fedeli delle sue quattro parrocchie, affidate provvisoriamente ad altri due sacerdoti, per far sentire loro la sua presenza e vicinanza.

    "Bisogna far sentire meno soli gli ammalati perché il virus isola molto - aggiunge don Marco -. C'è proprio il desiderio di una parola di conforto, l'isolamento è un tempo in cui si può diventare tristi, impauriti, e la vicinanza di qualcuno aiuta a superare questi stati d'animo".

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