"Si faceva leva sulle condizioni
dei rider, che provenivano da situazioni disagiate, erano
richiedenti asilo per motivi politici e dovevano sottoscrivere
queste condizioni degradanti di lavoro, erano sottopagati e
ricevevano dalle società intermediarie 3 euro netti a consegna".
Così un investigatore della Gdf di Milano ha ricostruito le
modalità di lavoro dei fattorini che facevano le consegne di
cibo a domicilio, sentito come primo testimone dell'accusa nel
processo milanese a carico della manager di Uber Italy (sospesa)
Gloria Bresciani accusata di caporalato.
Procedimento nato dall'inchiesta del pm Paolo Storari che il
29 maggio 2020 ha portato la filiale italiana del colosso
americano in amministrazione giudiziaria, poi revocata nel marzo
2021 dai giudici della Sezione misure di prevenzione dopo il
riconoscimento del percorso "virtuoso" intrapreso dalla società.
I rider, ha spiegato l'investigatore che ha condotto le
indagini, "sottoscrivevano una scheda in cui c'era scritto che
gli importi che comparivano sull'applicazione" del servizio Uber
Eats per le loro consegne "erano errati". Sulla app, infatti,
"venivano visualizzati anche i rimborsi forfettari chilometrici
e i bonus applicabili per le condizioni climatiche", ma i
responsabili delle società intermediarie, Frc e Flash Road City,
"dicevano ai rider che loro avrebbero percepito sempre e
comunque tre euro a consegna".
Tramite un accordo tra accusa e difesa, davanti al giudice
della nona penale Mariolina Panasiti, i verbali coi racconti dei
fattorini sulle condizioni lavorative sono stati acquisiti nel
processo. Nel dibattimento nelle prossime udienze ne verrà
ascoltato solo uno, come richiesto dalla Cgil, parte civile nel
processo così come la Camera del Lavoro di Milano.
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