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Omofobia: paragonò in video Scalfarotto a Hitler, condannato

Omofobia

Omofobia: paragonò in video Scalfarotto a Hitler, condannato

Giudice Parma, 'diffamazione, realtà stravolta e manipolata'

MILANO, 21 aprile 2021, 15:19

Redazione ANSA

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- RIPRODUZIONE RISERVATA

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Ritenere che, "promuovendo" un "disegno di legge" per contrastare la omotransfobia, Ivan Scalfarotto "volesse conculcare la libertà di determinazione sessuale dei bambini e irregimentarli in una dittatura ideologica assimilabile, per pericolosità, a quella nazifascista costituisce un inaccettabile stravolgimento e manipolazione della realtà". Lo scrive il Tribunale di Parma nelle motivazioni della sentenza con cui ha condannato per diffamazione l'autore di un video, pubblicato su YouTube nel 2015, nel quale si accostava l'immagine del parlamentare, anche sottosegretario all'Interno, "a quella di Adolf Hitler in quanto esponente della cosiddetta 'ideologia gender'".
    Una condanna a mille euro di multa e a duemila euro di risarcimento. Il video era stato pubblicato nel luglio di 6 anni fa quando Scalfarotto, assistito nel processo come parte civile dal legale del Foro di Milano Davide Steccanella, stava seguendo "l'iter parlamentare" del disegno di legge "da lui promosso", come si legge nella sentenza del giudice Beatrice Purita. Il filmato si intitolava 'Stop ideologia gender, colonizzazione ideologica'. Il pm aveva chiesto l'assoluzione dell'imputato.
    Per il giudice, dal video emerge "in modo inequivoco l'associazione di Scalfarotto all'immagine di Hitler" e il "messaggio" che se ne trae "è che egli fosse fautore di un pensiero dittatoriale" che rovina la "libertà di espressione dei bambini". Non era, quindi, una legittima critica nei confronti della sua attività di promozione di quel disegno di legge, che poi non venne approvato (si discute in questi giorni, tra l'altro, del ddl Zan contro l'omotransfobia).
    Nessuna "attenuante", si legge ancora, anche se l'imputato aveva deciso di rimuovere il filmato e aveva mandato una lettera di scuse a Scalfarotto. Gesti che, a detta del giudice, puntavano solo alla "remissione di querela".
   

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