"Una mostra comincia e finisce.
Quello che resta è l'umanità di tutte le persone che sono venute
e mi hanno arricchito". Jago riflette e commenta aggirandosi tra
le sue sculture, visitatore notturno e solitario di Palazzo
Bonaparte dove dal 12 marzo alla fine di agosto più di 140 mila
visitatori hanno fatto la fila per ammirare i lavori che lo
hanno reso famoso. Così lo descrive il documentario 'Jago. The
Rock Star', racconto in un bianco/nero di grande fascino
prodotto da ItsArt e Ballandi e scritto da Filippo Nicosia e
Marco Pisoni per la regia di Giovanni Troilo.
"Non l'ho ancora visto - diceva il giovane artista prima
della proiezione - quindi non so dare un giudizio. Anche il
titolo non l'ho deciso io". Ecco, appunto, nel gioco di parole
tra rock - roccia, pietra - e i grandi della musica non si
corre il rischio di esagerare?. "E' un tentativo disperato di
farmi montare la testa - risponde all'ANSA - . Quando qualcuno
mi dice una cosa del genere rispondo sempre 'non lo dire una
seconda volta altrimenti rischio di crederci'. Ovviamente non è
così. Lo vedo come un gioco simpatico".
Jacopo 'Jago' Cardillo, 35 anni, commenta con un sorriso il
successo straordinario della prima grande mostra organizzata
nella capitale da Arthemisia, con numeri riferibili "a un
artista defunto entrato tra i classici", e anche sulla
definizione di 'Nuovo Michelangelo'', diffusa nel mondo dei
social di cui è diventato un campione di visualizzazioni record
grazie alle dirette dei suoi lavori in corso per ogni opera,
mette le mani avanti. "Non voglio essere il 'nuovo nessuno' ma
solo me stesso - chiarisce -. A volte c'è bisogno di creare
parallelismi per leggere la realtà. In una dimensione
comunicativa può aiutare, ma in questo caso chi lo dice non sa
di cosa parla. E' importante, invece, l'eredità della bellezza
che ci arriva dal passato".
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