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Il Dna imprigionato nel tartaro racconta le origini dell'agricoltura in Europa

Il Dna imprigionato nel tartaro racconta le origini dell'agricoltura in Europa

E le migrazioni avvenute 8.500 anni fa

27 luglio 2021, 09:52

Redazione ANSA

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Il Dna imprigionato nel tartaro preistorico aiuta a individuare le origini dell 'agricoltura in Europea (fonte: Progetto Hidden Foods) - RIPRODUZIONE RISERVATA

Il Dna imprigionato nel tartaro preistorico aiuta a individuare le origini dell 'agricoltura in Europea (fonte: Progetto Hidden Foods) - RIPRODUZIONE RISERVATA
Il Dna imprigionato nel tartaro preistorico aiuta a individuare le origini dell 'agricoltura in Europea (fonte: Progetto Hidden Foods) - RIPRODUZIONE RISERVATA

Il Dna imprigionato per millenni nel tartaro ha permesso di ricostruire le origini dell'agricoltura in Europa e il flusso migratorio dei
primi agricoltori che, circa 8.500 anni fa, arrivarono dal Vicino Oriente nei Balcani e in Italia. La ricerca, pubblicata sulla rivista dell'Accademia delle Scienze degli Stati Uniti, Pnas, è stata condotta dall'Università Sapienza di Roma in collaborazione con l'Università di Vienna, nell'ambito del progetto 'Hidden Foods' finanziato dal Consiglio Europeo della Ricerca (Erc).

“La nostra analisi ha permesso di individuare in due campioni di tartaro degli antichi cacciatori, rinvenuti nel sito di Vlasac, in Serbia, alcune tracce di Dna di piante tra cui betulla, nocciola e sambuco", osserva la coordinatrice dello studio Emanuela Cristiani, del Dipartimento di Scienze odontostomatologiche e maxillo-facciali della Sapienza e responsabile scientifico del progetto Hidden Foods. Precedenti studi, per esempio, avevano ìdimostrato che la resina di betulla veniva masticata per essere poi usata come collante per fabbricare utensili. Un’attività come questache potrebbe quindi aver lasciato una traccia molecolare nel tartaro degli antichi cacciatori-raccoglitori.

I ricercatori hanno analizzato così il tartaro preistorico di 44 individui provenienti da siti archeologici italiani e balcanici risalenti fino a oltre 15.000 anni fa e in questo modo hanno potuto confrontare le abitudini alimentari dei cacciatori-raccoglitori-pescatori del Paleolitico e del Mesolitico con quelle dei primi agricoltori del Neolitico e il filo rosso è stata la specie Anaerolineaceae bacterium oral taxon 439, che si annida nella bocca, e il cui Dna ha permesso di ricostruire l’evoluzione della flora batterica orale degli antichi cacciatori e raccoglitori del Paleolitico e Mesolitico e dei primi gruppi di agricoltori che arrivarono dal Vicino Oriente durante il Neolitico, delineando così le tappe che hanno segnato in Europa meridionale la transizione verso l’agricoltura.

 Condotte nel laboratorio Dante (Diet and ANcient TEchnology) della Sapienza, le analisi sui denti preistorici hanno utilizzato "tecniche avanzate di estrazione del Dna e di sequenziamento genico chiamate Next-Generation Sequencing (NGS)", spiega Claudio Ottoni, paleogenetista e primo autore dell’articolo. In questo modo si è "evidenziato come l’arrivo dei primi agricoltori abbia modificato solo parzialmente la composizione della flora orale degli antichi cacciatori. Nonostante ciò, tale evento è stato registrato nel genoma umano e in quello di molte specie di animali che sono state portate dagli antichi agricoltori. Attraverso lo studio della variabilità genetica e l’analisi filogeografica di una specie batterica che popola la cavità orale, l’Anaerolineaceae bacterium oral taxon 439, siamo riusciti a ricostruire il flusso migratorio dei primi agricoltori che, circa 8.500 anni fa, spostandosi dal Vicino Oriente, sono giunti nei Balcani e in Italia”.

Le ricerche condotte dal gruppo dell Sapienza indicano inoltre che "un cambiamento più profondo nella composizione della nostra flora batterica - prosegue Ottoni - è avvenuto successivamente al Neolitico", come indicano daati relativi ai secoli XVIII e XIX fino ad oggi. "Nello specifico - conclude - i nostri risultati hanno evidenziato come l’attività funzionale della flora orale umana moderna sia mutata a seguito dell’uso massiccio di antibiotici a partire dagli anni ’40 del secolo scorso, un utilizzo che ha portato all’insorgenza di meccanismi di resistenza agli antibiotici precedentemente assenti nei campioni preistorici”.

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