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Cefalea malattia sociale, assistenza cucita sul paziente

Martelletti, "Una legge straordinaria, ma deve avere una sua traslazione sulla persona"

Redazione ANSA ROMA

Quella che riconosce la cefalea primaria cronica come malattia sociale è "una legge straordinaria, ma deve avere una sua traslazione sul paziente: non deve essere solo un doveroso seppur tardivo riconoscimento, ma la pietra angolare di un'assistenza cucita sulle esigenze del paziente stesso". Ad evidenziarlo è il direttore del Centro Regionale del Lazio per le Cefalee dell'Università Sapienza presso l'Ospedale Sant'Andrea di Roma, Paolo Martelletti.
    "Culturalmente - osserva Martelletti - è un passaggio importante ora bisogna passare alla parte pratica: con tutele sanitarie dedicate e 'cucite' sui pazienti". Ricordando che il provvedimento interessa almeno tre milioni di persone, solo secondo le stime sull'emicrania ad alta frequenza e cronica, l'esperto parla di "un lungo cammino durato oltre 10 anni, la cui importanza risiede nel fatto che è cambiata la percezione sociale di una malattia che è molto diffusa, ma è stata spesso non valutata per il suo reale impatto". Ora questo è cambiato, anche grazie a nuovi farmaci specifici.
    "Con gli anni - aggiunge Martelletti - è migliorata la capacità diagnostica, abbiamo formato nuove generazioni di medici esperti e le diagnosi sono diventate sempre più precise. Il passaggio ancor più importante si è avuto con farmaci specifici: dieci anni fa la tossina botulinica per l'emicrania cronica e adesso gli anticorpi monoclonali. Anche un medico non esperto oggi non si azzarderebbe più a definire la cefalea una cosa banale perché vi sono farmaci estraneamente importanti che la curano". I due processi hanno portato a considerare sempre più l'emicrania per quella che è: "una patologia fortemente invalidante che, secondo gli ultimi studi, nella fascia di età al di sotto dei 50 anni è la prima causa di disabilità al mondo.
    Prima di ogni altra malattia, contando gli anni di vita vissuti con disabilità".
    Ora per l'esperto occorre aumentare i centri di eccellenza, troppo pochi rispetto all'alto numero di pazienti, lavorare sull'importanza della prevenzione ed evitare gli errori diagnostici e i ritardi, che portano a un ricorso alle cure quando la patologia è ormai cronicizzata (anche se con le nuove cure si può agire ugualmente). (ANSA).
   

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