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People

Jimi Hendrix, perchè 50 anni dopo il mito guarda al futuro

Su Arte un documentario omaggio sul più grande chitarrista rock

 © ANSA
  • di Paolo Biamonte
  • ROMA
  • 18 settembre 2020
  • 16:39

Alle 12.45 del 18 settembre 1970 il dottor John Bannister, medico del St Mary Abbot's Hospital di Londra, dichiarava morto Jimi Hendrix. Dieci giorni dopo, una volta effettuata l'autopsia, il coroner Gavin Thurston stabilì che la causa della morte era l'asfissia: Hendrix era stato soffocato dal proprio vomito durante il sonno indotto da una dose eccessiva di barbiturici. Tuttavia, vista la mancanza di chiare evidenze, il verdetto sulla morte di uno dei geni della musica del '900 è rimasto aperto. James Marshall Hendrix, per sempre Jimi, avrebbe compiuto 28 anni il 27 novembre.
    Come tutta la sua vita, anche la sua stupida morte prematura è avvolta nel mito: più d'uno ha raccolto materiale per dimostrare che le leggerezze e gli errori che hanno portato al decesso fossero tutt'altro che casuali. La tesi del complotto poggia su un dato provato: Hendrix finanziava le Black Panther e per questo era spiato dall'onnipresente FBI di J.Edgar Hoover.
    Dunque quella notte maledetta sarebbe stato aiutato a morire con la complicità, volontaria o meno, di Monika Danneman, la donna con cui ha passato la sua ultima notte. Quello che è certo, è che Jimi Hendrix è una delle vittime più illustri di un business senza scrupoli, che, grazie a contratti capestro, lo sfruttava senza pietà, costringendolo a una massacrante routine di concerti.
    In questo mezzo secolo la musica di Jimi Hendrix è rimasta attuale: ancora oggi sono in pochi a dubitare del fatto che sia stato il più grande chitarrista della storia del rock. La sua carriera di star è una luce abbagliante durata solo quattro anni. I primi tre album sono capolavori: insieme alla Experience, Mitch Mitchell alla batteria e Noel Redding al basso, incide nel 1967, in meno di un anno, "Are You Experienced", uno dei più grandi debutti di sempre e "Axis: Bold As Love". Poi nel 1968 registra il suo ultimo album in studio, il doppio "Electric Ladyland". Nel 1967 l'America ancora non lo conosceva: Paul McCartney lo raccomandò agli organizzatori del festival di Monterey. Il 18 agosto 1969 un altro appuntamento con la leggenda: Woodstock. La sua versione distorta dell'inno americano è una delle performance più importanti e sconvolgenti di sempre. 
Si intitola “Jimi Hendrix: Hear My Train A Comin’', il documentario con cui il canale culturale europeo ARTE rende omaggio al più grande chitarrista della storia del rock, diretto dal regista Bob Smeaton disponibile gratuitamente in streaming, sottotitolato in italiano, su Arte in Italiano (arte.tv/it) dall’11 settembre al 16 novembre 2020. Dalla chitarra acustica da $5, acquistata da suo padre negli anni '50, all’indimenticabile versione dell’inno americano suonata a Woodstock, il documentario ripercorre la storia di Hendrix e, allo stesso tempo, rappresenta un vero e proprio viaggio nella musica degli ultimi 70 anni: mentre il rock'n'roll fa il suo debutto, Jimi Hendrix si esercita a provare le canzoni dei grandi maestri che formeranno il suo stile inimitabile, una miscela di blues, rock e psichedelia. Dopo alcuni anni al fianco di Little Richard o Wilson Pickett, durante i quali ha imparato ad esibirsi, Hendrix nel 1966 viene notato dalla fidanzata di Keith Richards nel Greenwich Village e presentato a Chas Chandler, musicista del gruppo The Animals, che sta cercando di entrare in produzione. Sotto la sua guida, nell'insonne Londra degli Swinging Sixties, Jimi Hendrix forma la sua band, la Jimi Hendrix Experience, e raggiunge il successo, diventato un'icona del blues-rock psichedelico.

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