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Colore e realismo, in sette punti cosa resta delle sfilate di Milano

Colore e realismo, in sette punti cosa resta delle sfilate di Milano

Le collezioni primavera estate 2021 figlie del lockdown, la sfida dei marchi

28 settembre 2020, 20:52

di Gioia Giudici

ANSACheck

Models present creations by Italian brand DROMe - RIPRODUZIONE RISERVATA

Models present creations by Italian brand DROMe - RIPRODUZIONE RISERVATA
Models present creations by Italian brand DROMe - RIPRODUZIONE RISERVATA

L'ottimismo del colore, il romanticismo dei pizzi e dei volants, la forza delle spalle importanti, la sicurezza dei leggings e delle gonne corte corte, ma soprattutto il realismo dei capi, spesso non indossati da modelli e modelle, ma da ragazzi normali, presi dalla strada, quelli cui la moda si rivolge: così Milano, in questa strana fashion week di mascherine, disinfettanti e sfilate digitali, ha risposto alla sfida di immaginare il futuro post Covid.
Non deve essere stato facile - nessuno stilista lo nega - immaginare delle collezioni durante il lockdown, e non lo è stato nemmeno presentarle dal vivo, ma senza stampa e compratori internazionali, con il pubblico a distanza di sicurezza e i backstage blindati e sottoposti a regole ferree, o con sfilate digitali che, nonostante gli sforzi, accorciano le distanze ma non sostituiscono l'emozione della passerella. Ma Milano è stata compatta nell'interpretare quella voglia di ritorno alla normalità, con le dovute precauzioni, che si respira un po' ovunque. Quando la gente tornerà a fare acquisti, a girare per negozi, cosa avrà voglia di comprare? è la domanda da cui sono necessariamente partiti un po' tutti. La risposta non poteva che essere realistica: assenti le follie, ridotti all'osso gli abiti da sera, la parte del leone l'hanno fatta le proposte da giorno, anche pensate per un mondo che potrebbe ancora essere in smartworking. Perché qui si tratta di immaginare il futuro, con collezioni che guardano alla primavera-estate 2021 e sono figlie del lockdown, che ha chiuso tutti nelle proprie case, a fare i conti con ciò che conta davvero. E così ogni marchio è tornato alle radici della sua essenza, riprendendo a fare ciò che gli appartiene, facendo meno e meglio. Mesi fa Giorgio Armani aveva chiesto con una lettera aperta di prendere questo momento come un'occasione per rallentare ed è stato il primo a farlo: tra il documentario antologico che racconta una carriera nello stile e la sfilata della nuova collezione, entrambi visti in tv, non c'è soluzione di continuità. I suoi sono abiti fatti per durare nel tempo, così come da Prada dove, nonostante l'arrivo di Raf Simons, tutto, a partire dalla scelta della divisa come manifesto della collezione, parla di riconoscibilità. Valentino cambia location - Milano anziché Parigi - e cast - gente vera e non modelli - per risignificare i suoi codici, che non vuol dire stravolgerli, ma calarli nell'oggi, coniugando romanticismo e individualità. Con lo stesso spirito MSGM, che ha ridotto la sua collezione a un terzo, ha invitato ragazze normali ad autoriprendersi con la nuova collezione, mentre Marni ha spedito i suoi capi ad amici sparsi per il mondo, affinché fossero loro a interpretarli. E cosa dire delle modelle plus size, mai così presenti come in questa edizione? Viste sulle passerelle di Fendi, Ferragamo, Versace, a raccontare un mondo che si scopre più inclusivo, tanto che per la prima volta i designer neri hanno avuto un loro spazio in calendario con l'iniziativa 'Black lives matter in fashion'. Anche Dolce e Gabbana, con il loro Patchwork Sicilia, hanno lanciato un invito all'unione di culture diverse e a guardare al futuro con fiducia, come ha fatto Donatella Versace, che ha immaginato un nuovo mondo vestito di stampe e colori sgargianti. Un sogno? Sì, ma sincero, parola d'ordine che passa da Tod's a Max Mara, che immagina una donna che dopo mesi esce finalmente di casa per ricostruire un mondo migliore di quello che abbiamo lasciato.

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