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Dalla Chiesa e Giuliano su omicidi

Dalla Chiesa e Giuliano su omicidi

Commissione antimafia prosegue desecretazione atti

ROMA, 14 marzo 2020, 08:25

Redazione ANSA

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- RIPRODUZIONE RISERVATA

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(di Valentina Roncati) Dalla scomparsa del giornalista Mauro De Mauro (16 settembre 1970) all'omicidio eccellente del Procuratore della Repubblica Pietro Scaglione e del suo autista (5 maggio 1971), fino agli inquietanti atti dinamitardi della notte di Capodanno del 1971 eseguiti a Palermo, nel mandamento dei Madonia, ai danni di vari enti e uffici pubblici. Di questi fatti delittuosi si occupano le carte pubblicate oggi dalla Commissione parlamentare antimafia; si tratta di atti della polizia giudiziaria di Palermo datati 1971 dove è possibile leggere analisi del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa e di Boris Giuliano. Sono "fatti questi - si legge nei rapporti pubblicati, con riferimento a quei delitti - che non hanno precedenti nelle manifestazioni criminose dell'isola, perché appaiono talmente aberranti da far ritenere che si agitino o si occultino a monte degli esecutori materiali grossissimi interessi ai quali non sarebbero estranei ambienti e personaggi legati al mondo politico ed economico-finanziario e che, in forma più o meno occulta, hanno fatto ricorso, dal dopoguerra in poi, a sodalizi di mafia per conseguire iniziali affermazioni nei più svariati settori, per garantire quanto via via acquisito". I quattro documenti - costituiti dal verbale di denuncia del 6 giugno 1971 e dai rapporti giudiziari del 20 settembre, 26 ottobre e 15 luglio 1971 - furono redatti in un momento particolare per la storia di Cosa Nostra, in seguito ad indagini congiunte, da alcuni uffici di Polizia giudiziaria dell'Arma dei Carabinieri e della Polizia di Stato di Palermo. Dalla lettura dei documenti si coglie il particolare contesto criminale - di delicata transizione - che Cosa Nostra si trovava a fronteggiare in quello specifico momento storico: dopo aver descritto la "inedita" e fondamentale pax mafiosa, durata per ben cinque anni (dal 1963 al 1968), successiva alla attività di repressione investigativa e giudiziaria posta in essere in maniera compatta e continuativa dalle Istituzioni dopo la tragica strage di Ciaculli del 30 giugno 1963, i rapporti consentono di cogliere plasticamente gli effetti di una sentenza - quella della Corte d'Assise di Catanzaro del 22 dicembre del '68 - che aveva assolto 44 imputati con la formula, tristemente "consueta", della insufficienza di prove. Ciò aveva determinato decine di scarcerazioni e - in questo modo - neutralizzando pericolosamente gli effetti della straordinaria attività repressiva appena conclusa. I rapporti tracciano le due grandi proiezioni che, fin da subito, la pronuncia citata determinò sugli assetti criminali della mafia palermitana: da un lato, quella di conferire "più rinnovato prestigio ed autorità a quanti ne erano usciti indenni" e, dall'altro, il devastante incremento di quella sfiducia dell'opinione pubblica che, da sempre, alimenta il fenomeno dell'omertà ("inevitabile solidarietà di massa, scaturente da quelle ferree leggi dell'omertà in cui la popolazione è, via via, ripiombata unicamente per effetto di scoramento connesso alle inaspettate assoluzioni o alle miti condanne nei gravi processi celebrati fuori dell'isola"). Vengono quindi elencati e analizzati i molteplici omicidi di mafia che, subito dopo la pronuncia, accompagnarono e confermarono il mutamento radicale del clima criminale, tra i quali figurarono in particolare la "strage di viale Lazio" del 10 dicembre 1969 (che vide la partecipazione diretta di innumerevoli boss mafiosi che, di lì a qualche anno, segneranno l'evoluzione della storia dell'organizzazione, come Salvatore Riina, Bernardo Provenzano e Calogero Bagarella, fratello di Leoluca), nonché la vera e propria spedizione armata, organizzata dal boss Gerlando Alberti ed eseguita da un commando armato a Castelfranco Veneto (TV), volta all'omicidio di Giuseppe Sirchia. "Continuiamo questo lavoro di pubblicazione di atti - spiega il presidente dell'Antimafia, Nicola Morra - le istituzioni non hanno paura della propria storia; questi giorni così difficili, che ci consentono di rimanere a casa, impegnamoli anche in modo utile nello studio della nostra storia più recente".
   

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