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Responsabilità editoriale di ASviS

QUESTA SETTIMANA: Le difficili transizioni che la pandemia accelera

Non torneranno al passato molti comportamenti. Buona notizia per lo sviluppo sostenibile, ma alcune categorie rischiano

ASviS

Il desolante servizio sui negozi in fallimento nel centro direzionale di Napoli, diffuso con la prima puntata della nuova serie di “In onda” su La 7, fornisce un drammatico riscontro, da una città più fragile, all’appello del sindaco di Milano Giuseppe Sala: bisogna tornare a popolare gli uffici, altrimenti le città muoiono. Negli Stati Uniti il processo di abbandono dei centri cittadini da parte dei benestanti che possono permettersi di lavorare da casa era già cominciato prima della pandemia, come abbiamo già segnalato. Il Covid-19 lo ha accelerato, mettendo in crisi anche i grandi centri commerciali per l’esplosione degli acquisti online. Le preoccupazioni di Sala si comprendono: ogni giorno in tempi normali, almeno 800mila persone (dati Istat del 2011) vanno ad aggiungersi alla popolazione di Milano (1,3 milioni). I servizi della città sono strutturati su questa dimensione e, soprattutto nelle zone del centro storico, sarebbero inevitabilmente condannati senza questo afflusso.

Eppure, indietro non si tornerà e per molti versi è un bene che sia così. Come ha scritto Leslie Kaufman su Bloomberg Green, con un occhio agli Usa ma con considerazioni che si possono applicare anche da noi.

"È evidente che il lavoro a distanza ha ridotto le emissioni di carbonio, ma anche che questo cambiamento non continuerà per sempre perché molti uffici in tutto il mondo stanno cominciando a riaprire. Tuttavia, diverse società non ritorneranno alla normalità e invece implementeranno politiche di ‘lavoro da dovunque’. Questa differenza rimarrà dopo la ritirata della pandemia ed è uno degli aspetti positivi di questa catastrofe sanitaria. Il lavoro a distanza abbatte l’inquinamento dell’aria, riduce i consumi di carta e plastica degli utilizzi monouso e molti altri comportamenti negativi per l’ambiente che derivano dalla normale routine lavorativa. I trasporti prima del Coronavirus contribuivano per circa un quarto al totale delle emissioni. Il carbonio emesso degli Stati Uniti è diminuito del 15% nel periodo da marzo a giugno. Ma questa è solo una parte della storia. La gente che lavora da casa sviluppa le sue capacità di vivere in modo sostenibile. Nei 90 giorni dall’inizio della pandemia, Google ha riscontrato un aumento delle 4.550% delle ricerche su 'Come vivere in modo sostenibile'. La gente ha cominciato a interessarsi con maggiore attenzione all’energia verde e al proprio carbon footprint. E quando la gente comincia ad adottare comportamenti più sostenibili, spesso poi li mantiene. Un’indagine sui genitori che lavorano, a cura di Bright Horizon,s ha segnalato che solo il 13% voleva ritornare alla vita lavorativa di prima."

Anche l’Economist arriva a conclusioni analoghe.

"È sorprendente come ci siamo adattati rapidamente. Questo giornale è stato scritto, editato e prodotto dai divani e dai tavoli di cucina. Gennaio e febbraio sembrano ormai un’era antica, l’epoca BC (Before Coronavirus) sostituita dalla nuova era AD (After Domestication). Il cambiamento è paragonabile alle grandi trasformazioni dei posti di lavoro nei secoli 19º e 20º. Twitter ha già dichiarato che tutti i suoi dipendenti saranno autorizzati a lavorare permanentemente da casa e Facebook prevede che metà del suo staff lo farà entro un decennio."

Con un occhio a questi cambiamenti, l’architetto Stefano Boeri, nel suo intervento al convegno dell’ASviS ripreso integralmente da Futura network, ha ipotizzato una città di nuovo tipo, policentrica, integrata anche con i borghi delle aree interne e con la natura circostante: un modello affascinante ma molto lontano dalle attuali aree metropolitane.

Parafrasando Jonny Stecchino, il famoso personaggio del film di Roberto Benigni, la Rassegna stampa del Corriere della Sera scrive ironicamente che “la più grande piaga di Milano e della Lombardia è ... lo smart working!”, ma è evidente che il problema denunciato da Sala esiste ed è importante. Che gli italiani non torneranno indietro ce lo dice anche un’indagine Swg pubblicata da Kratesis: in materie come il lavoro da casa, gli acquisti on line o i corsi di formazione a distanza, solo una percentuale che non supera mai il 36% pensa che tutto tornerà come prima, mentre la grande maggioranza è convinta che farà tesoro delle esperienze di questo periodo e continuerà ad avvalersene.

La “resilienza trasformativa”, parola d’ordine lanciata dall’ASviS in questi mesi per evidenziare la necessità di “rimbalzare avanti”, cioè di partire dai punti di forza della società per fare un salto di qualità nella direzione dello sviluppo sostenibile, si accompagna strettamente col principio della “giusta transizione”. Finora avevamo applicato questo concetto soprattutto al passaggio dalle energie fossili alle rinnovabili, pensando alla necessità di garantire i milioni di persone che lavorano per produrre carbone, petrolio e gas, alla importanza della tutela delle fasce più deboli, che sarebbero le più colpite dall’aumento dei prezzi indotto da interventi per penalizzare i consumi energetici inquinanti, come è avvenuto in Francia con l’aumento del prezzo del gasolio che ha scatenato l’ira dei gilet jaunes.

Scopriamo ora che il concetto di “giusta transizione” si applica a molti altri campi che possono essere toccati da un percorso verso un modo di vita più sostenibile, a cominciare appunto dall’abbandono dei centri delle metropoli che fino a ieri sembravano destinati a polarizzare i movimenti di popolazione del futuro. Molte categorie avranno bisogno di protezione e accompagnamento a una riconversione, se vogliamo accelerare questo percorso. Un altro esempio evidente riguarda gli incentivi dannosi per l’ambiente, in Italia circa 19 miliardi all’anno che sarebbe giusto abolire. La cifra arriva a 137 miliardi all’anno a livello dell’Unione, quasi quanto l’intero bilancio europeo, seconda un’indagine di Investigate Europe ripresa da Maria Maggiore sul Fatto quotidiano. Sappiamo però che buona parte di questi incentivi in Italia vanno all’autotrasporto, all’agricoltura, alla pesca: la loro abolizione, che l’ASviS richiede con forza, comporta la necessità di sgravi fiscali e incentivi alla riconversione per le categorie interessate. Insomma, di una politica lungimirante.

Anche la gestione degli inevitabili adattamenti ai cambiamenti climatici già in corso pone delicati problemi di transizione, come dimostra questo esempio, anch’esso tratto da Bloomberg Green, in merito ai rischi di inondazione a seguito dell’aumento dei fenomeni meteorologici estremi.

"In teoria, indicazioni accurate sui rischi di allagamento potrebbero correggere alcuni comportamenti irrazionali e costosi che abbiamo visto finora, come lo sviluppo di proprietà immobiliari in zone ad alto rischio. Potrebbero anche aiutare la gente a capire che cosa è in gioco se non si riducono le emissioni che provocano l’effetto serra. Però la trasparenza ha i suoi aspetti negativi. Rachel Cleetus, direttore del programma Clima ed energia della Union of Concerned Scientists, nel 2018 ha condotto negli Stati Uniti una ricerca sui rischi di inondazione delle proprietà costiere, con dati specifici su ciascuna abitazione. Con i suoi colleghi aveva valutato di pubblicare i risultati ma hanno deciso di renderli noti solo a livello aggregato, di codice di avviamento postale, per evitare effetti negativi sul valore delle proprietà."

Contrariamente a quello che si pensa, molte delle case sulle coste di Stati come il Texas e la Louisiana, i più esposti alle inondazioni, sono abitate da persone di ceto medio-basso, che sarebbero pesantemente penalizzate da queste rivelazioni. Meglio dunque diffonderle solo a seguito della definizione di una politica di protezione per i soggetti che rischiano di essere colpiti.

Anche in Italia sarebbe necessaria un’analisi approfondita delle conseguenze della catastrofe climatica. Molti dati furono resi disponibili con la pubblicazione della bozza del Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici (Pnacc) nel 2017, ma questo documento non è mai stato preso seriamente in esame dalla classe politica.

Abbiamo dunque bisogno non di una, ma di molte “giuste transizioni”, con un occhio alle categorie più deboli che rischiano di essere più danneggiate dai cambiamenti nei comportamenti e nei consumi, ma con l’altro occhio alle nuove generazioni che dobbiamo tutelare accelerando le scelte necessarie per uno sviluppo sostenibile. Le proposte dell’ASviS in questa direzione sono state presentate sabato 20 giugno nell’audizione agli Stati generali voluti dal governo e sono state ribadite dal portavoce dell’Alleanza Enrico Giovannini in una intervista all’Espresso. Eccone alcuni estratti.

"Hanno ascoltato, con attenzione. Ed è la prima volta che un governo si ferma ad accogliere le idee e le proposte di associazioni e società civile per impostare un vasto piano di rilancio del Paese. Ma per un giudizio complessivo bisognerà attendere il piano rivisto e lì si capirà in che misura le indicazioni degli interlocutori presenti ai tavoli degli Stati Generali siano state accolte. Non mi convince il dibattito pubblico che si sta svolgendo nel Paese. Prima di tutto non c'è la consapevolezza che il progetto di rilancio deve stare all'interno delle linee guida indicate dalla Commissione europea, che chiedono agli Stati membri di presentare programmi affinché nel suo complesso l'Europa risulti più resiliente, sostenibile e giusta. Tanto per capirci: nessun sussidio o investimento andrà ad attività basate sui combustibili fossili. Inoltre, pochi hanno compreso che il tutto deve avvenire nell'ambito delle regole del semestre europeo, cioè il processo di coordinamento delle politiche economiche, a cui l'opinione pubblica italiana pone attenzione pari a zero."

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di Donato Speroni

Responsabilità editoriale e i contenuti sono a cura di ASviS


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