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Gregorio D'Agostino

Pandemia e rete: quanto la teoria delle reti può aiutarci nell’affrontare una situazione di crisi

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Gregorio D’Agostino, laureato con lode nel 1987 e conseguito un dottorato in Fisica nel 1992 all'Università di Roma La Sapienza, è nello staff scientifico di ENEA dal 1989. Attualmente è Ricercatore Senior e Knowledge Exchange Officer. Insegna Cybersecurity all'Università di Tor Vergata come Professore Associato, è stato Presidente dell'Associazione Italiana Esperti Infrastrutture Critiche (AIIC) ed è Presidente dell'organizzazione scientifica NetonNets.


Pandemia e rete: quanto la teoria delle reti può aiutarci nell’affrontare una situazione di crisi

Un’intervista a un esperto di reti, infrastrutture critiche e sistemi complessi, Prof. Gregorio D’Agostino, Knowledge Exchange Officer per ENEA.

La teoria delle reti sostiene che siamo tutti connessi e vicini, ovvero in un solo mondo. Ci può spiegare in breve come si propaga da un punto a un altro un virus che ha le stesse caratteristiche di una rete?
Le reti costituiscono un’astrazione elementare molto efficace di realtà molto complesse: il caso delle epidemie è in questo senso emblematico. La propagazione di un’epidemia dipende da moltissimi fattori prevalentemente di tipo biologico e sociale. Dal punto di vista biologico ad esempio vi è una notevole differenza tra patogeni virali e batterici e nell’ambito dei virali sono significative caratteristiche come la struttura glico-proteica del capiside che determina la capacità e l’efficienza nell’infettare le cellule o il tipo di polimerasi necessarie alla duplicazione del virus. Dal punto di vista sociale sono importantissimi le tipologie di rapporti tra gli individui, la loro frequenza, la loro molteplicità, la tendenza alle aggregazioni per grandi o piccoli gruppi, etc. Tuttavia nella rappresentazione delle reti tutti questi fattori vengono sintetizzati in pochi numeri essenziali, insieme ovviamente alla rete dei contatti, cioè per ogni individuo l’insieme delle persone con cui ha occasione di contagio. In particolare due numeri fondamentali (necessari per ogni modello) sono la probabilità di propagazione (di solito si indica con beta) e la letalità. Per ogni potenziale contatto dovremmo conoscere entrambi questi fattori, ma la bellezza dei grandi numeri è che alcuni risultati non dipendono dal dettaglio, ma solo dal valore tipico di tali grandezze. Lo stesso per le reti, ovviamente per conoscere e prevedere il dettaglio del decorso di una specifica epidemia occorre conoscere tutta la rete, ma per avere comportamenti generali basta sapere la “classe” di reti a cui appartiene. Nel caso delle odierne strutture sociali in cui tutti siamo connessi a tutti tramite cinque o sei passi a livello planetario (tecnicamente reti a leggi di potenza) il risultato fondamentale è che non c’è una soglia epidemica. La brutta notizia è che per quanto noi ci sforziamo di abbassare la probabilità di contagio, lasciando inalterate la nostra struttura di relazioni fisiche, l’epidemia si diffonde sempre. Ma la cinetica, cioè la tempistica con cui si manifesta la malattia cambia. Se abbassiamo la probabilità di contagio il numero di individui simultaneamente infetti si riduce e il nostro sistema sanitario è in grado di trattarli tutti. Questa è la speranza che soggiace alla strategia posta in atto dal governo. In realtà, se fossimo in grado di mutare profondamente la topologia della rete dei nostri contatti fisici aumentando a dismisura il numero di gradi di separazione tra gli individui, emergerebbe anche una soglia sotto la quale l’epidemia si estingue. Questa è la seconda speranza che soggiace alla strategia del governo.
Se chiudiamo il Paese dall’esterno e ritorniamo ad una struttura a connessione iper-locale, forse l’epidemia si estingue, in Italia. I limiti di questa strategia sono evidentemente due: la capacità di attuare realmente le misure e la coordinazione con il resto del pianeta. Ovviamente connettività zero è impossibile perché noi esseri umani necessitiamo dei “servizi essenziali”. Tutti noi dobbiamo mangiare e bere; qualcuno deve eliminare i nostri rifiuti; consumiamo energia e connettività etc. Il secondo numerino importante è la letalità, la probabilità di morire o riportare danni avendo contratto la malattia: questo dipende dalle caratteristiche biologiche dell’infetto, dalla qualità della sua vita e dal trattamento sanitario a cui è sottoposto. Su questo la teoria delle reti non è di aiuto.
Un’altra domanda cruciale per i modelli è “SIR o SIS?” Cioè: un individuo può essere Sano (S), può divenire Infetto (I) e poi diviene Refrattario (R cioè immune) oppure di nuovo Sano (S), ma infettabile? Purtroppo questo non è noto per tutti i patogeni ed in particolare per questa pandemia.
L’altra questione pressante è quanto tempo dobbiamo attendere perché le misure introdotte diano risultati? Questo dipende anche da un terzo numerino che è il tempo di latenza o incubazione. Quanto passa da quando un individuo è contagiato a quando diviene infetto? E un altro numerino ancora: il tempo medio di guarigione. Da questi due numeri dipenderà la durata della quarantena decisa dal governo. Purtroppo, anche questi numeri non sono noti con precisione e quindi non è possibile fare previsioni fondate.

Effetto domino ed epidemie: come sono correlati?
Effetto domino ed epidemia sono due termini del linguaggio naturale per indicare la propagazione di uno stato (opinione, malattia, debito, etc.) da una persona (o un soggetto astratto) ad un’altra. Normalmente si usa la prima espressione per gli eventi dominati da fattori deterministici, mentre l’espressione epidemia è riservata alla propagazione diffusa di patogeni in una comunità umana, animale o vegetale. Quindi nel primo caso il problema è preesistente e una piccola perturbazione ne innesca gli effetti con una cinetica solitamente rapidissima e incontrollabile; mentre nel secondo esiste una rete di relazioni normale e la propagazione avviene con meccanismi probabilistici a cui è possibile opporsi mutando i costumi. L’effetto domino si può prevenire evitando le condizioni critiche che lo consentono, le epidemie sono invece praticamente inevitabili.

Quali pensa che saranno gli scenari futuri?
Purtroppo, una popolazione di otto miliardi di abitanti con una struttura sociale a pochi gradi di separazione è per sua natura prona a pandemie che sono e saranno assolutamente inevitabili. Ma possiamo e dobbiamo imparare a gestirle. Per farlo occorre creare delle specifiche strutture, sia di presidio sanitario che di indagine sistemica, che consentano l’individuazione precoce delle nuove pandemie (prima che divengano tali); occorre l’adozione di strategie di contrasto e il trattamento adeguato dei soggetti colpiti. Il presidio sanitario implica l’esecuzione permanente di test su individui apparentemente sani scelti a caso (specialmente nei punti di connessione tra macro-comunità) non solo per evidenziare un patogeno noto, ma per identificare anche nuovi patogeni. Inoltre è necessario conoscere la struttura sociale degli individui e questo è in potenziale contrasto con il GDPR ed in generale con le leggi di tutela della privacy. Infine, è necessario rendere le strutture sanitarie dinamicamente convertibili per affrontare le contingenze epidemiche. In altre parole: prevenzione, diagnosi precoce pre-epidemica (early warning), monitoraggio della rete sociale e resilienza dell’infrastruttura sanitaria.

Gregorio D’Agostino

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