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Una 'diplomazia elamita' tra Iran e Usa

Iniziativa senza precedenti di cooperazione culturale tra i due Paesi

   (di Alberto Zanconato)

Le forti tensioni bilaterali e le pesantissime sanzioni imposte dagli Usa all'Iran non hanno impedito ad una delegazione americana di recarsi recentemente a Teheran per un'iniziativa di cooperazione culturale senza precedenti nei 40 anni della Repubblica islamica. Christopher Woods, direttore dell'Istituto orientale dell'Università di Chicago, è arrivato in Iran per restituire 1.783 tavolette di terracotta con iscrizioni in lingua elamitica risalenti ad un periodo dell'Impero Achemenide intorno al 500 avanti Cristo, rinvenute nel 1935 a Persepoli e da allora in prestito per motivi di studio all'ateneo americano. Forse l'inizio di una 'diplomazia elamita' tra i due Paesi che dal 1980 non hanno relazioni. Almeno questa è la speranza di Wouter Henkelman, uno dei pochi docenti al mondo di questa lingua, che ha cooperato allo studio dei reperti.

"L'operazione - spiega Henkelman all'ANSA - è stata tenuta segreta fino all'ultimo in entrambi i Paesi. In Iran ci potevano essere reazioni da parte di esponenti del regime contrari anche ad un dialogo di questo genere con Washington. Per questo la vicenda è stata seguita in particolare dal direttore del Museo Nazionale, Jebrael Nokandeh, coinvolgendo il meno possibile esponenti governativi. Quanto agli Stati Uniti, immaginate cosa sarebbe successo se, mentre il presidente Trump annunciava le sanzioni contro l'Iran, fossero usciti sui giornali titoli del tipo 'Gli Usa restituiscono antichi reperti alla Repubblica islamica'".

Henkelman è quasi il simbolo della cooperazione archeologica fra i due Paesi. Cittadino olandese sposato con un'iraniana, oltre che a Parigi e Berlino insegna all'Università Allameh Tabatabai di Teheran, ma negli ultimi anni ha lavorato all'Università di Chicago presso il Persepolis Fortification Archive, l'iniziativa avviata per lo studio e la catalogazione delle tavolette. Il progetto è stato ideato in vista di una possibile dispersione sul mercato di questo tesoro, dopo che nel 2004 le famiglie di alcune vittime americane di un attentato a Gerusalemme, di cui gli Usa accusano l'Iran, avevano avviato una causa contro Teheran, chiedendo un risarcimento di decine di milioni di dollari. Per questo avevano chiesto tra l'altro la confisca e la vendita all'asta delle tavolette. Ma nel febbraio 2018 la Corte Suprema ha stabilito che i reperti non possono essere confiscati. E nel settembre di quest'anno è avvenuta la restituzione, seguita da un'esposizione a Teheran di circa 300 degli oggetti recuperati.

"Dalla sentenza della Corte Suprema alla restituzione - sottolinea Henkelman - è passato un anno e mezzo. Negli Usa, infatti, abbiamo dovuto svolgere le pratiche presso l'Ofac, l'Office for Foreign Assets Control, che fa capo al ministero del Tesoro e si occupa direttamente dell'applicazione delle sanzioni. Diversi diplomatici ci hanno fatto presenti gli ostacoli che rischiavano di mandare a monte l'operazione. Probabilmente alla fine i problemi sono stati aggirati da qualche responsabile a livello ministeriale che ha dato l'assenso senza comunicare con i livelli più alti dell'amministrazione".

La collaborazione non si ferma qui: "A Chicago - dice Henkelman - stanno preparando altre due spedizioni in Iran per un totale di 8.000 tavolette, alcune in lingua elamitica, altre in aramaico. Sono già in corso le operazioni di imballaggio, ma si è in attesa del permesso dell'Ofac".

Ma in che misura l'epilogo di questa vicenda può favorire una distensione fra Iran e Usa? "Sicuramente - risponde Henkelman - è un'iniziativa da applaudire dal punto di vista politico. Inoltre, il fatto che le tavolette ritornino in Iran e siano nella custodia degli studiosi iraniani, favorirà l'ulteriore sviluppo dei nostri rapporti culturali, perché continueremo ad occuparcene insieme". La diplomazia archeologica, insomma, continua a dispetto dell'ostilità tra i due grandi nemici.

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