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di Redazione ANSA
ANSA MagazineaMag #89
Reportage dalla devastazione del terremoto

Viaggio tra le macerie

Il viaggio in immagini degli inviati ANSA nelle terre devastate dal sisma del 24 agosto

E' passata una settimana da quando una scossa di terremoto di magnitudo 6.0 ha distrutto il centro di Amatrice, Accumoli, Arquata del Tronto, Pescara del Tronto e molte piccole frazioni provocando quasi 300 morti

Erano le 3.36 del 24 agosto e da quel momento quasi mille uomini, tra Vigili del Fuoco, Protezione civile, Carabinieri, Corpo forestale, e volontari, senza fermarsi mai, hanno estratto dalle macerie centinaia di persone e soccorso i sopravvissuti.

Questo il viaggio tra le macerie degli inviati ANSA nelle terre devastate dal sisma

Le foto simbolo del sisma

GUARDA LA PHOTOSTORY Fotoracconto

Il film del terremoto


Reportage

Scenario di guerra

Come per la guerra a Stalingrado o ad Aleppo, Amatrice e il suo centro storico non esistono più.

Sisma: crollo Hotel Roma a Amatrice, almeno 2 morti

   La scossa ha combattuto casa per casa, dalle cantine alle camere da letto, ai sottotetti. E ha vinto. Come la guerra a Stalingrado o ad Aleppo, Amatrice e il suo centro storico non esiste. Tagliata in due a metà corso da una collina di sassi, mattoni, tegole, mobili e vestiti, che una volta erano banche, case, negozi, chiese. E poi come sempre in questi casi la polvere. Grigia.
    Ovunque.
    Stesso disperato pianto nelle frazioni verso Ascoli Piceno, cuore nevralgico del sisma che ha colpito, come all' Aquila, nel cuore della notte.
    Corso Roma, la via principale di Amatrice, ha un fronte che la taglia a metà fatto da una collina di macerie, gran parte frutto del Comune che è venuto giù tutto intero. Non che il Comune sia inagibile, come l'ospedale o la stazione dei carabinieri. Semplicemente non esiste più. Non c'è una casa del centro storico che non sia da abbattere o pericolante se ad atterrarla non ci ha già pensato il terremoto. Anche le parallele ai lati del corso sono nelle stesse condizioni: impraticabili per crollo totale.
    Il lavoro dei soccorsi è partito dopo poco meno di un'ora dalle 3:36 - lo ha ammesso anche il sindaco - e all'alba tutti i fronti erano predisposti: vigili, forestali, volontari, a mani nude, con pale, corde e picconi. Sono stati estratti vivi in parecchi, Irina, Natale, Yuri dopo ben nove ore sotto le macerie. Per il sindaco di Amatrice, Sergio Pirozzi, questa volta lo Stato ha funzionato considerando tutte le difficoltà della geografia del territorio. Ma il sindaco avrà anche parole di elogio per i media, per la tempestività delle informazioni tragiche che hanno messo a disposizione dell'opinione pubblica che ha accelerato la messa in moto della macchina della protezione civile.
    Assieme alla soddisfazione per le salvezze, ecco il solito sudario di dolore e pianti: non ce l'hanno fatta i piccoli gemelli di sette anni Simone e Andrea, le due ragazze afghane ancora non recuperate, le tre suore con le quattro ospiti dell' ospizio a cui sono crollati due piani sulla testa, che ancora non si aggiungono alla decina di cadaveri che verranno via via deposti nelle due zone distinte a nord e sud delle macerie del centro storico. Quale che sia la contabilità dei morti, Amatrice la scorsa settimana, quella del Ferragosto, era strapiena, più di ora, e più di uno ha parlato di strage mancata. Ma se questa tragedia fosse accaduta domenica prossima quando sarebbe stata prevista la sagra cult degli spaghetti all' Amatriciana, sarebbe stato comunque peggio. Chi si è salvato ha parlato di un vero blitz del sisma, una scossa lampo: "Dieci secondi e tutto giù per terra", ha detto Marco. "Faceva su e giù in modo secco, non dondolava, sussultava", ha spiegato Don Fabio.
    Vittime anche nei palazzi più recenti, come a Piazza Sagnotti, e si parla di case degli anni 60/70. Quelle antisismiche più recenti hanno resistito mentre quelli rimasti in piedi non erano quelli della storia secolare di Amatrice.
    "Quando ho visto che la storica porta di Amatrice era andata giù, ho capito il dramma - ha detto il sindaco Pirozzi - il paese non esiste più ma risorgeremo. Il difficile sarà riparare la contabilità dei morti e dei danni, svuotare le macerie, evitando gli errori fatti all'Aquila, 30-40 chilometri in linea d'aria, l'altra grande tradita dalla terra quasi sette anni fa"

(dall'inviato  Luca Prosperi)


Amatrice, il silenzio dopo la paura

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Il volo silenzioso del drone sulle macerie di Amatrice


Amatrice prima e dopo il sisma

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Reportage

Il paese spazzato via

Il terremoto ha trasformato Pescara del Tronto in una spettrale Sarajevo

Una veduta di Pescara del Tronto, distrutta dal terremoto

PESCARA DEL TRONTO, 24 AGOSTO - Pescara del Tronto e' stata spazzata via. Il terremoto che ha insanguinato il centro Italia ha trasformato il paese in una spettrale Sarajevo. Le strade sembrano essere esplose. Enormi crepe segnano l'asfalto. Ovunque i segni della distruzione, con i detriti delle case sbriciolate mescolati a carcasse d'auto, vetri, brandelli di vite perdute.
    I morti accertati in serata sono 20, un centinaio i feriti.
    Diversi sono in gravi condizioni. I soccorritori cercano di aprirsi una strada per individuare sopravvissuti. Ma la speranza si affievolisce con il passare delle ore. "Da mezzogiorno troviamo solo cadaveri", dice un ragazzo della protezione civile esausto. "Qui e' peggio dell'Aquila", sussurra un altro volontario attonito. E' un reduce del sisma che ha devastato il capoluogo abruzzese.
    "Provo un grande dolore, Pescara del Tronto non c'è più", dice il presidente della Camera Laura Boldrini accompagnata tra le macerie dai soccorritori. "Sembra un bombardamento".
    Ringrazia i volontari che fanno fatica ad avanzare. Pescara del Tronto e' abbarbicata su una ripida collina a ridosso delle montagne. Un passo falso potrebbe causare crolli a catena.
    Gli smottamenti scendono giu' fino a valle e lambiscono la Salaria.
    Nel campo di primo soccorso nella vicina Arquata, sventrata dal sisma con un bilancio di almeno 4 morti, scorrono a fiumi le lacrime. "L'abbiamo lasciato solo", urla disperata una signora parlando del marito, mentre i parenti provano a consolarla.
    Accanto a lei arrivano due bambini. Uno e' coperto da un telo termico. E' sporco di terra e sangue ma per fortuna e' illeso.
    Cosi' come altri due ragazzini salvati prima dalla nonna e poi dallo zio. Lo stesso che salendo la ripida salita verso il paese ha rimesso al suo posto la testa di una madonnina sfregiata dal sisma per accendere la speranza di trovare vivi i nipoti.
    A Pescara del Tronto si scava, ma la notte si avvicina e i soccorsi saranno piu' difficili e pericolosi. Si spera di arrivare a cinque persone intrappolate sotto una palazzina di tre piani.
    Nessuno sa con precisione quanti siano i dispersi. Il paese conta d'inverno un centinaio di persone. Ma d'estate si popola, soprattutto di romani. Le utenze telefoniche ed elettriche sono 200. "Se fosse successo a ferragosto sarebbe stato un massacro", spiega un giovane, "il paese era pieno". In tanti potrebbero essere arrivati per la festa della Spelonga, molto sentita da queste parti.
    I soccorritori esausti scendono dalla ripida collina. Si rincorrono voci su altri morti. Ma ad alimentare la speranza è la notizia di una bambina che sarebbe stata estratta viva dopo quasi 15 ore. 

Claudio Accogli
   


Sisma, macerie e devastazione a Pescara del Tronto


'Non dimenticateci'

Morti, dispersi e estratti vivi ad Accumoli il paese epicentro della scossa

Tecnici del Soccorso Alpino Emilia Romagna ad Accumoli

ACCUMOLI, 24 AGOSTO - Un paese intero spazzato via dalla furia del terremoto, che già viveva una realtà difficile sul piano sociale, tenuta su solo dal turismo estivo, e che ora teme di essere davvero dimenticato. Accumoli (Rieti) si scopre in un incubo in 20, maledetti secondi, e sono in molti già tra la popolazione ancora attonita, chi in pigiama, chi solo in accappatoio, a dire che no, questo paese non verrà ricostruito. "Abbiamo paura di essere dimenticati, il patrimonio edilizio è del tutto compromesso", sintetizza tra le lacrime il sindaco, Stefano Petrucci. "L'Aquila è una ferita ancora fresca, sono passati sette anni e non è ricostruita, che cosa accadrà a noi?".
    A spegnere ancora la speranza ci si mette la sorte, che si è accanita contro una delle poche coppie che aveva puntato sul borgo, che era rimasta a vivere in quota per contrastare lo spopolamento. Febbrili ricerche con ruspe, bobcat, pale, picconi, uomini e cani, ma non c'è stato nulla da fare, quattro vittime, i giovani Andrea Tuccio e Graziella Torrone e i giovanissimi figli Riccardo e Stefano in una comunità che ha patito anche altri lutti di persone anziane e non. La casa dei Tuccio è stata travolta dal crollo del campanile, altrimenti, forse, avrebbe resistito.
    Il paese si trova a fronteggiare l'emergenza nel momento più delicato, quello in cui si riempie all'inverosimile per l'esodo di turisti estivi, molti dalla Capitale ma non solo. "Cercheremo di assistere tutti, ma è meglio che lascino il paese, per loro e per noi", esercita il realismo ancora il sindaco. I numeri sono spietati: 700 i cittadini residenti, articolati in ben 17 frazioni, alcune con poche decine di abitanti, 2.000 circa quelli che affollano ogni abitazione libera per la bella stagione. Questo surplus di popolazione ha aumentato sicuramente il numero degli sfollati, stimati in 2.500 dallo stesso primo cittadino, e si spera non faccia lo stesso con le vittime.
    "Vivere qui è difficile in inverno, e molto - fa notare il presidente della Provincia di Rieti, Ettore Rinaldi - ma questa può essere la botta definitiva, la fine di questi centri".
    D'altronde la scossa sismica si è portata via i punti cardinali: la stazione dei carabinieri, il bar, la chiesa, tutto scatastato e inagibile. La strada di accesso è costellata di massi caduti, che costringono a fare a zig zag per salire e rendono tutto più difficile. Di fronte alla casa dov'è morta la giovane famiglia c'è un pezzo di curva che si è staccato e sotto allo squarcio dell'asfalto si intravvede lo strapiombo, il parco pubblico è stato inghiottito per metà dalla terra e anche un'automobile è rimasta con le ruote incastrate nel terreno, prima di essere rimasta a spinta dai cittadini che erano in zona. La fermata del bus è diventato un ricovero temporaneo, freddo di notte e caldo di giorno, ma più o meno sicuro. Lì si trovano alcune bottiglie d'acqua, lì seduto un bambino piange sconsolato e dice alla madre: "Me ne voglio andare da qui". Con i dispersi ancora da trovare sotto le macerie, la sfida di Accumoli è già partita: dare a quel bimbo un motivo per restare

Alberto Orsini


Accumoli paese fantasma, strade vuote


Reportage

"Siamo vivi, questo è tutto"

Nelle parole ma soprattutto negli occhi e nei volti della gente di Arquata del Tronto c' è tutto il terrore del terremoto.

Rieti earthquake, Civil Defence : provisional toll 241 dead

ARQUATA DEL TRONTO, 24 AGOSTO - "Siamo vivi. Questo è tutto…": nelle parole ma soprattutto negli occhi e nei volti della gente di Arquata del Tronto c' è tutto il terrore del terremoto. Che nella notte ha colpito duro, ferendo le case, aprendo squarci nelle pareti e costringendo chi stava dormendo a scappare portando con sé quel poco che si riusciva ad arraffare. "Siamo vivi. Questo è tutto…" ripete Cristina, titolare dell'Hotel Regina, alle porte del paese. "La casa, l'albergo e il resto di Arquata sono completamente danneggiati",riesce a dire con gli occhi gonfi di lacrime. Lei, i suoi bambini, una coppia di amici ospiti nella sua abitazione e i clienti sono scappati subito dopo la scossa che ha devastato il territorio. In un pulmino e in un'auto le coperte e i cuscini che hanno permesso di superare la notte. Il pensiero va alla struttura sulla quale sono evidenti le crepe. "Questo non è un posto ricco…" sottolinea la proprietaria. "Guardate poi la scuola che doveva aprire tra due settimane - aggiunge -, è come esplosa".

    Poi però il pensiero torna ai drammatici attimi della notte.
    "Siamo scesi dal letto - spiega Cristina - e abbiamo preso i bambini in braccio. Siamo usciti senza nemmeno un graffio, portandoci anche il cane e il gatto".
    Arquata del Tronto è un piccolo paese dell'Appennino nel quale vivono circa mille e 200 persone che però salgono a 5-6 mila in estate quando arrivano i turisti e tornano quelli originari di qui (dove hanno ancora le loro case) che si sono trasferiti altrove, a Roma e sulla costa soprattutto. Come Piero e Pina che erano in vacanza nella loro abitazione "in cerca di tranquillità". "La nostra casa - raccontano - fuori è lesionata ma dentro non c' è più. Ballava tutto e c' era un gran rumore.
    Non riuscivamo a muoverci. Avevamo tutti i calcinacci addosso".
    Ad Arquata del Tronto la gente si muove con in mano i sacchetti della spesa con i pochi effetti personali presi in casa. Molti sono ancora in pigiama o indossano tute da ginnastica. Qualche bambino, sfinito, si addormenta sulle panchine. Diversi anche i cani con i loro padroni. Come Cecilia che per prendere Chico, barboncino dal pelo bianco, è tornata in casa. "Per uscire - dice - ho dovuto forzare le porte che erano incastrate. Poi ho sentito passare alcuni amici e ho gridato aiuto. Una volta nella via, un muro di macerie bloccava la strada. Siamo riusciti a uscire infilandoci in una cantina per poi sbucare in piazza. Abbiamo visto due case crollare davanti ai nostri occhi e siamo rimasti un'ora e mezzo al buio, scalzi.
    Poi ci hanno soccorso".
    Amerigo è invece uno degli anziani del paese. "E' meglio non parlare…", afferma con sguardo severo e triste. "Si è spaccato tutto - aggiunge - e il terremoto ha buttato tutto a terra. La nostra casa è danneggiata". Come anche quella del sindaco Aleandro Petrucci. "Allestiremo le tende - spiega - e speriamo che la nostra gente non voglia a tutti i costi rimanere accanto alle abitazioni inagibili".
    Tra i primi ad arrivare ad Arquata, il vescovo don Giovanni D'Ercole. Che ha subito mobilitato tutti i suoi religiosi. Come due frati che sostano accanto al campo sportivo dove è stato allestito il posto di primo soccorso. "Ascoltiamo la gente - spiegano - ma abbiamo anche dato la nostra disponibilità a collaborare attivamente ai soccorsi". "C' è chi reagisce con una preghiera - rivelano -, chi peggio. Qui c' è molta solidarietà tra la gente".
    Nel campo dell'Asd Arquata football club ci sono ora ambulanze e mezzi dei vigili del fuoco, un'autobotte della polizia e gli elicotteri della forestale. Le panchine degli spogliatoi ospitano chi ha dovuto lasciare le case. C' è chi è ferito e chi piange a dirotto, mentre qualcuno cede alla tensione e riesce a dormire un po' nonostante le scosse non diano tregua. Su un tavolo la protezione civile distribuisce acqua, merendine e frutta mentre accanto una giovane mamma improvvisa un pic-nic su una coperta per rendere meno triste in pranzo de suoi piccoli. Perché oggi, ad Arquata del Tronto, "siamo vivi, e questo è tutto…". 

Claudio Sebastiani, foto di Angelo Carconi
   


Vigili del Fuoco a lavoro tra le macerie ad Arquata

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L'ambulanza per gli animali

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Ore 3.36, una settimana dopo

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Quel che resta di Amatrice

Nel centro storico del paese simbolo buio, macerie e silenzio

Sisma: Amatrice, ore 3.36 una settimana dopo

 AMATRICE, 31 AGOSTO - L'inizio di corso Umberto è l'unico punto del centro storico dove arriva una luce lieve, quel che basta per illuminare i manifesti ancora appesi ai muri: "50esima sagra degli spaghetti all'Amatriciana, 27 e 28 agosto", dice quello di destra; "Il borgo in sagra, i sapori in piazza ad Amatrice", 23 agosto, la sera prima del botto, è scritto su quello di sinistra. Poi c'è solo buio assoluto e macerie.
   
   Ore 3.36 del 31 agosto: camminare per il centro del paese simbolo del terremoto ad una settimana dalla scossa, alla ricerca di qualcosa che ricordi anche solo lontanamente cosa fosse Amatrice un attimo prima di quei dieci maledetti secondi, è un'impresa impossibile.

    Al civico 27 di corso Umberto un lampione è l'unica cosa rimasta in piedi e alla luce della torcia sembra un fantasma nella notte. Dieci metri più in là, al civico 47, l'insegna del 'Bar centrale park cafè pasticceria" non è esplosa, come invece è accaduto per le finestre al piano di sopra. Le locandine dei gelati e una bandiera italiana danno l'unico tocco di colore in un mare di grigio. Al 49 c'era il "forno e pasticceria Marini dal 1955": l'insegna è ancora lì; sopra c'erano due piani che non esistono più.

    La sera del 23 agosto ad Amatrice era festa, la gente aveva fatto tardi per le strade del paese chiacchierando e ridendo. Stanotte il silenzio è assoluto, rotto solo dal calpestio dei piedi sulle macerie. Il punto vendita del caseificio di Amatrice è al civico 16: il palazzo accanto è caduto per metà e così dal corso si vedono le finestre che affacciavano dall'altra parte.
    Su una di queste, Winnie the Pooh sorride allegro alle macerie.
   
Subito dopo, di fronte al bar centrale, sembra di esser tornati all'11 settembre: il tetto di un palazzo, collassando, ha sbriciolato l'intero edificio tranne una parete, che svetta nel cielo dopo aver tagliato il tetto come un coltello nel burro. Cinquanta metri più avanti l'altezza delle macerie raggiunge i 5 metri: è l'effetto prodotto dalla ruspa dei vigili del fuoco, che ha liberato alcuni punti per poter lavorare meglio.

    Quella macchina infernale sembra un mostro sulla luna, nel buio completo. Spostando la torcia, in trenta secondi si contano un paio di mutande da donna, due coperte, un lenzuolo stracciato, un pezzo di una foto, decine di tondini di ferro che spuntano e sembrano spade pronte a trafiggere chiunque, i resti di un cavalluccio di plastica e di una gomma di una bicicletta da bambina. Al civico 54 svetta l'unico palazzo rimasto in piedi: 4 piani, il tetto in cemento armato ha retto e non è collassato sui piani sottostanti. L'ingresso della filiale di Intesa San Paolo è bloccato da un metro di macerie ed è proprio in faccia alla torre civica: l'orologio fermo alle 3.37, un minuto dopo la scossa, mette i brividi anche se quell'immagine l'hai vista mille volte in tv. Dall'altra parte della strada, un altro tetto completamente integro ha schiacciato ogni cosa risparmiando solo una valigia.

   E' mezza aperta e in tutta questa distruzione vedere i vestiti tutti ordinatamente piegati è un cazzotto allo stomaco. All'inizio di via dei Bastioni, sembra quasi sia tutto a posto. Le serrande del negozio "piante e fiori Gardenia" e della "lavanderia Bolleblu" sono chiuse come lo sarebbero ogni notte. Ma bastano cinque metri a riportarti alla realtà del terremoto: al civico 6 c'è un cumulo di macerie, all'8 la casa è perfettamente in piedi con i gerani bianchi e rossi appesi alla finestra. Costruire bene conta, eccome. 

    In fondo alla via c'è l'unica fonte di luce di tutto il centro storico. E' il cantiere dell'hotel Roma, dove i vigili del fuoco lavorano incessantemente da una settimana. L'ultima vittima ufficiale dell'albergo, un uomo, l'hanno tirata fuori all'alba, dopo una lavoro estenuante sotto una decina di metri di macerie. La benna strappa pezzi di cemento come fossero foglietti di carta, dell'edificio resta ormai solo lo scheletro di parte del secondo piano, non c'è più traccia dell'insegna, né del ristorante che ha reso famoso il sugo con guanciale e pecorino.

   I pompieri continueranno a lavorare, perché ci sono ancora una decina di stanze inesplorate, anche se dalla lista ufficiale non manca nessuno. Così le fotocellule continuano a ronzare nella notte: ma basta allontanarsi di 30 metri e il silenzio e il buio tornano i padroni assoluti di quel che resta di Amatrice.

Matteo Guidelli, foto Massimo Percossi


Una settimana dal sisma, il videoracconto