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  5. Collodi e il primo Pinocchio noir

Collodi e il primo Pinocchio noir

Ristampata prima versione racconto con disegni di Simone Stuto

CARLO COLLODI, ''PINOCCHIO - PRIMA EDIZIONE'' (IL PALINDROMO. pp. 150 - 15,00 euro).
    ''Intanto s'era levato un vento impetuoso di tramontana, che soffiando e mugghiando con rabbia, sbatacchiava qua e là il povero impiccato, facendolo dondolare screanzatamente come il battaglio di una campana che suona a festa. E quel dondolio gli cagionava acutissimi spasmi, e il nodo scorsoio, stringendosi sempre più alla gola, gli toglieva il respiro (....) - Ho babbo mio! Se tu fossi qui! - E non ebbe fiato per dir altro. Chiuse gli occhi, apri la bocca, stirò le gambe e, dato un grande scrollone, rimase lì come intirizzito''. Finiva così la storia di Pinocchio, col 15/mo capitolo il 27 ottobre 1981, nella prima versione pubblicata sul 'Giornale per i bambini', che con questo burattino che muore solo e impiccato dagli assassini per togliergli le monete d'oro, aveva tutto un altro senso, virato al noir e privo di alcuna redenzione. Altro che trasformazione in un bravo bambino, come accadrà dopo altri 18 capitoli, aggiunti sei mesi dopo, per le insistenze dei lettori e del direttore del Giornale.
    Il successo a quel punto fu tale e più consono alle positivistiche idee pedagogiche dell'Italia appena unificata, che è andata praticamente dimenticata quella la prima versione della storia di ''un pezzo di legno da catasta'' che non era nemmeno divisa in capitoli, ma scritta tutta di fila. La ripropongono, in una bella, piccola edizione con illustrazioni gotiche di Simone Stuto e a cura di Salvatore Ferlita, le edizioni Il Palindromo di Palermo, ed è una piccola, curiosa scoperta.
    In realtà c'era già in quella prima versione, a mostrare tutte le perplessità che lo stesso Collodi aveva su come sarebbe stata accolta la sua storia, ben prima del finale un avviso: ''Quello che accadde dopo, è una storia da non potersi credere, e ve la racconterò la prossima volta'' che nella riscrittura diverrà ''una storia così strana'' e ''ve la racconterò in quest'altri capitoli'', mentre proprio il primo finale non è più così conclusivo, ma a Pinocchio torna ''in mente il suo povero padre e balbettò quasi moribondo''. Così che il nuovo XIX capitolo può cominciare dicendo: ''In quel mentre che il povero Pinocchio. impiccato dagli assassini a un ramo della Quercia grande, pareva oramai più morto che vivo'' ecco che compare la fatina dai capelli turchini.
    E tutto procede di avventura in avventura, partendo ancora con con il racconto aspro del burattino incatenato a far il cane da guardia, ma poi arriva il Paese dei balocchi, la trasformazione in ciuchino, l'essere inghiottito dal pesce-cane in cui ritrova suo padre e lo libera portandolo a riva, dove incontra e non si fila il Gatto e la Volpe mal ridotti, si pacifica con la Lumaca e col Grillo parlante, e si comporta bene sino alla trasformazione, chiudendo con l'osservazione: ''com'ero buffo quand'ero burattino! E come ora son contento di essere diventato un ragazzino perbene!'' Tutto senza più quelle atmosfere tenebrose e inquietanti della prima parte, con notti buie dove ''non ci si vedeva da qui a lì'' mentre gli sbattono addosso le grandi ali di uccellacci neri, come ricorda Ferlita nella sua postfazione, dove gioca azzardando anche un parallelo curioso con Sherlock Holmes.
    Allora, se Giorgio Manganelli ne aveva parlato come di ''un romanzo mortuario e infernale'', si capisce perché Italo Calvino, studioso delle fiabe italiane, legasse questo di Collodi al romanticismo nero e fantastico, aggiungendo che ''Collodi non è certo Hoffman o Poe'', per notare poi che ''la casina che biancheggia nella notte con alla finestra la fanciulla come un'immagine di cera che incrocia le mani sul petto e dice - Sono tutti morti... Aspetto la bara che venga a portarmi via, a Poe sarebbe certamente piaciuta''.
    Del resto anche uno sguardo diverso come quello di una scienziata quale Margherita Hack, ricordando la sua lettura della versione definitiva da bambina, spiegava: ''C'erano pagine terrificanti, come gli assassini tutti incappucciati di nero, a cui pensavo con un po' di paura. Così ricordo che quando finalmente Pinocchio usciva sano e salvo da tutte le sue avventure e arrivava il desiderato lieto fine, provavo invece un senso di delusione, di stonatura con tutto il resto''. (ANSA).
   

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