''Fili che ci legano agli altri, ai vivi come ai morti...', sono Le fedeltà invisibili che danno il titolo al nuovo, potente romanzo di Delphine De Vigan. E' la storia di due adolescenti, dei loro genitori e di una loro insegnante particolarmente sensibile. Una storia a più voci, più punti di vista, tutti altrettanto dolenti però. La scrittrice francese, il cui valore in patria è stato già riconosciuto con il conferimento di premi importanti (Grand Prix des lectrices de Elle, finalista al Gouncourt, Prix Renaudot), dimostra in questo libro la rara capacità di raccontare l'intensità del dramma che stiamo vivendo. Dramma dell'identità umana, dell'incapacità di comprendere la portata della devastazione che sta sconvolgendo i rapporti familiari, le relazioni sentimentali, di qualunque tipo siano. Delphine De Vigan, è noto, non fa mistero della sua biografia segnata dal suicidio della madre e dall'anoressia, temi che ha raccontato senza veli in altri libri come Giorni senza fame, il libro d'esordio in cui aveva descritto (con lo pseudonimo di Lou Delvig) la sua esperienza di anoressica, o ancora Niente si oppone alla notte, biografia romanzata della madre depressa. In Le fedeltà invisibili la scrittrice non parla di temi autobiografici, ma dimostra tutta la capacità, assolutamente originale e potente, del suo sguardo sulla realtà. In questo romanzo, su tutto il velo dell'apparente normalità, o meglio il disinteresse steso come un velo oscurante sul dramma che toglie il fiato. Hélène, l'insegnante sensibile perché a sua volta vittima scampata alla tragedia che si nasconde in famiglia e tutti ignorano, anche questa volta non viene creduta da nessuno quando cerca di puntare l'attenzione sui problemi di Théo, 12 anni, genitori separati, madre e padre che non si parlando che non sanno nulla uno dell'altro. Del resto a casa del suo amico del cuore Mathis i genitori non sono separati, ma madre e padre sono comunque divisi da un silenzio capace di nascondere troppo uno dell'altro. Normalità apparente, normalità che non esiste, abisso dell'anima che i ragazzi appena dodicenni affogano come possono. "Si chiama coma etilico. Gli piacevano queste due parole, il loro suono, la loro promessa: un momento di scomparsa, di eclissi, in cui non devi più niente a nessuno".
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