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Balzano, lo spaesamento di chi resta

Balzano, lo spaesamento di chi resta

Tra i 5 dello Strega racconta anche il Tirolo sotto il fascismo

ROMA, 19 giugno 2018, 10:42

Paolo Petroni

ANSACheck

La copertina del libro di Marco Balzano 'Resto qui ' - RIPRODUZIONE RISERVATA

La copertina del libro di Marco Balzano  'Resto qui ' - RIPRODUZIONE RISERVATA
La copertina del libro di Marco Balzano 'Resto qui ' - RIPRODUZIONE RISERVATA

MARCO BALZANO, 'RESTO QUI' (EINAUDI, pp. 184 - 18,00 euro).
    L'importanza dei luoghi, quelli dove sei nato e cresciuto, dove sono le tue radici e cui si riferiscono le tue parole, la tua lingua, il dilemma tra partire e restare sono i temi, il tema della narrativa di Marco Balzano che, dopo aver vinto il premio Campiello nel 2015 con 'L'ultimo arrivato', è ora in cinquina al premio Strega con 'Resto qui', romanzo intenso, lucido, doloroso che un po', per certi versi, è un prequel e una dichiarazione di resistenza rispetto ai suoi precedenti, che di migrazione, partenze e ritorni, di spaesamento appunto parlavano.
    L'attaccamento di Trina e Erich Hauser per la loro casa e le montagne attorno a Curon, in Sud Tirolo, è infatti non solo esemplare e umanissimo, ma quasi una sfida alla storia che arriva su quelle cime della val Venosta a sconvolgere tutto, per farli sentire spaesati anche nel luogo dove sono nati, anche se il vero sconvolgimento finirà per compiersi solo dopo, finita la guerra e arrivata la pace e la democrazia, con l'acqua di una diga che nel 1950 copre tutto, letteralmente e metaforicamente, paese e campi, lasciando spuntare dal lago solo il vecchio campanile.
    Il romanzo sono i ricordi di oltre trenta anni di Trina, che parte dai giorni della sua maturità nel 1923, vive il fascismo e la guerra, quindi il dopoguerra. Quasi un diario rivolto alla figlia Marica, che tanti anni prima decise di abbandonare la famiglia senza avvertire, senza un saluto, partendo per la Germania con gli zii, lasciando un vuoto con cui il confronto è continuo e inevitabile pur dopo decenni, quando ormai pare sepolto nel fondo del cuore di chi è rimasto in situazioni quasi impossibili e non ha avuto il coraggio di partire, timoroso di un futuro pieno di incognite. C'è nel fondo sempre una speranza che le cose si aggiusteranno, che dandosi da fare si riusciranno a superare le difficoltà, che bisogna solo andare avanti senza farsi distrarre dai pensieri, come a trina ricorda sempre sua madre.
    Il racconto è abbastanza romanzesco, doloroso ma molto vitale, segnato da distacchi e lacerazioni, pieno di accadimenti e con vari personaggi di contorno, ma dalla presenza incisiva e viva, con al centro il ventennio fascista e la persecuzione delle persone di lingua tedesca con leggi che ne vorrebbero cancellare l'identità, cominciando col chiudere le scuole per lasciare solo quelle italiane e facendo emigrare lavoratori meridionali tra quei monti, rendendo la vita molto difficile con altre mille discriminazioni e provvedimenti. E' in questo clima che la giovane Marica si unisce alla zia che si trasferisce, accettando l'invito delle autorità naziste, mentre la madre maestra coopera a far nascere scuole tedesche clandestine, lotta, non cede accanto al marito fiero della propria indipendenza e legato alla sua terra, ma vive un altro abbandono, quella dell'amica Barbara che ha coinvolto nell'insegnamento per i bambini tedeschi e, scoperta, è spedita al confino. Una lingua asciutta, semplice eppure spesso ardente, attenua agli stati d'animo come al variare della natura nelle stagioni, per descrivere un'esistenza sempre al limite, una lotta per la sopravvivenza e per dar senso alle proprie parole, sempre contro tutto e tutti, sul filo della tragedia quando Erich parte per la guerra in Albania e Grecia e, al ritorno, decide di non aderire alla Repubblica di Salò, cui invece con un ennesimo strappo famigliare si unisce il figlio Michael, e di disertare fuggendo su per boschi e monti inseguito da nazisti e dal gelo invernale, ma mai abbandonato da Trina nel segno di un amore che è innanzitutto condivisione, pur balenandogli l'idea che la loro "vita fosse tutta un errore", abbandonati a se stessi, senza più un punto di riferimento. E accade lo stesso quando anni dopo Trina, rimasta sola, va sulle rive del lago artificiale che ha sepolto Curon e vede villeggianti che fanno il bagno o vanno in canoa: "Nessuno può capire cosa c'è sotto le cose. Non c'è tempo per fermarsi a dolersi di quello che è stato quando non c'eravamo. Andare avanti è l'unica direzione concessa. Altrimenti Dio ci avrebbe messo gli occhi di lato, Come i pesci".
   

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