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'Vita' di Marina Abramovic, arte, video e performance

A Palazzo Strozzi a Firenze 100 opere per i 50 anni di carriera

Cinquant'anni di vita artistica di Marina Abramovic raccontati dalla sua stessa voce ('condensata' in una speciale audioguida) e attraverso una raccolta di oltre 100 opere tra dipinti, installazioni, video, accompagnate da performance portate quotidianamente in scena da gruppi di attori e coreografi. E' The Cleaner, la prima grande rassegna antologica a lei dedicata ad essere realizzata in Italia, a Palazzo Strozzi a Firenze: dopo l'inaugurazione il 20 settembre, l'esposizione andrà avanti fino al 20 gennaio prossimo.

Una vita all'insegna della sperimentazione continua quella della Abramovic che esordisce giovanissima a Belgrado come pittrice. Dei suoi primi lavori esposte opere inedite come l'Autoritratto del 1965 e i dipinti delle serie Truck Accident (1963) e Clouds (1965-1970) in cui si ripetono ossessivamente violenti incidenti di camion e composizioni di nuvole. Il passo successivo, anche indissolubilmente legato all'incontro, professionale e amoroso, con l'artista tedesco Ulay, è lo studio sul corpo e le sue energie: nel percorso espositivo si trovano le rappresentazioni di celebri performance della coppia come Imponderabilia (1977), dove il pubblico è costretto a passare attraverso i corpi nudi dei due artisti, o azioni come Relation in Space (1976) e Light/Dark (1977) e in cui sperimentano i complessi intrecci energetici tra i mondi femminile e maschile.

Negli anni '80 Marina e Ulay intraprendono viaggi di ricerca e studiano le pratiche di meditazione in Australia, India e Thailandia. Ne nascono opere come Nightsea Crossing (1981-1987), in cui rimangono immobili l'uno di fronte all'altra per ore. La fine della loro relazione sentimentale e professionale nel 1988 con la performance The Lovers: i due artisti si incontrano per dirsi addio a metà della Grande Muraglia cinese, dopo aver percorso a piedi 2500 chilometri ciascuno. Negli anni Novanta il dramma della guerra in Bosnia ispira l'opera Balkan Baroque (1997), con cui Abramović vince il Leone d'Oro alla Biennale di Venezia: in uno scantinato buio l'artista pulisce una ad una ossa di bovino raschiando via carne e cartilagine mentre intona canzoni della tradizione serba. A donare al racconto dell'esposizione la dinamicità che da sempre caratterizza l'opera di Abramovic saranno le riproduzioni 'live', ripetute ogni giorno della mostra, di alcune delle sue più note performance ad opera di gruppi di professionisti reclutati per l'occasione. A tal proposito nei giorni scorsi la Cgil ha lamentato "violazioni di legge" nella contrattualizzazione degli artisti. "Tutto in regola", ha ribadito oggi il curatore della rassegna e direttore di Palazzo Strozzi Arturo Galansino.

A presentare The cleaner a Firenze c'era la stessa Abramovic. Parlando del rapporto tra genere femminile e carriera artistica, ha detto di ritenere che non è "difficile essere una donna artista: quello che è importante è non aver paura di niente e di nessuno. Ma questo è il problema con le donne in generale. Ci sono sensi di colpa e timori che le ostacolano. Ma l'arte non può essere definita per generi: c'è solo arte buona e cattiva". Sull'impatto delle nuove tecnologie e dei social sulle avanguardie dell'arte ha osservato che "in sè non hanno nulla di male: il male sta nell'uso che ne viene fatto. Certo è però - ha sorriso - che Instagram non è arte". Poi l'annuncio che farà "una nuova performance nel 2020 alla Royal Academy ma non dico niente perchè non voglio mi porti sfortuna".

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