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Oscar grandi manovre, dall'inclusione alle piattaforme

Oscar grandi manovre, dall'inclusione alle piattaforme

Numero record di film stranieri in gara, 93

ROMA, 09 ottobre 2019, 09:57

Francesca Pierleoni

ANSACheck

Oscar, immagine di archivio - RIPRODUZIONE RISERVATA

Oscar, immagine di archivio - RIPRODUZIONE RISERVATA
Oscar, immagine di archivio - RIPRODUZIONE RISERVATA

ROMA - Oscar sempre più inclusivi, nel rispetto della grande esperienza collettiva del cinema in sala ma guardando anche ai nuovi metodi di fruizione e produzione, come le piattaforme, da Amazon a Netflix (che potrebbe fare incetta di candidature, con film come The Irishman di Martin Scorsese e Marriage Story di Noah Baumbach, ndr). Sono fra le linee che stanno seguendo l'Ad dell'Academy of motion Pictures, Art and Sciences, Dawn Hudson e il neopresidente David Rubin. Lo spiegano durante l'incontro con la stampa a Roma in occasione della presentazione della partnership con Luce Cinecittà per l'Academy Museum of Motion Pictures, che si aprirà a Los Angeles nel 2020, e del primo evento dell'istituzione Usa nella capitale, un omaggio/evento glamour per i nuovi membri dell'academy italiani (fra le new entry del 2019 Giancarlo Giannini, Carlo Verdone, Toni Servillo, Matteo Garrone) ed europei.

L'impegno per l'inclusione passa anche per il cambio di nome per la statuetta al miglior film straniero, che quest'anno vede in gara un numero record di candidati, 93: tra gli avversari di Il traditore di Marco Bellocchio ci sono autori come Pedro Almodovar (Dolore e gloria) e la Palma d'oro a Cannes Parasite di Bong Joon Ho. "L'Academy ha deciso quest'anno che il premio si chiamerà Oscar per il miglior film internazionale, perché la parola 'straniero' evocava un'alterità che non appartiene all'Academy, per cui è sempre più fondamentale l'inclusione" dice Dawn Hudson. Lo dimostra anche il fatto, che fra i nuovi membri dell'Academy (che amplia la sua composizione ogni anno) "il 30% appartengono a minoranze e il 50% sono donne". David Rubin, che viene da una brillante carriera come casting director, da Romeo + Juliet a Big Little lies, ha già introdotto dal suo arrivo ad agosto un'importante novità, cioè la possibilità per i votanti agli Oscar (circa 7000) di vedere i film candidati anche su una nuova piattaforma ad hoc online. Tra le 'grane' ancora da risolvere, c'è la poca apertura da parte di alcuni membri dell'istituzione, ai film prodotti e distribuiti sulle piattaforme. Un contrasto decisamente obsoleto considerando che due dei contender più forti per il 2020, come i film di Scorsese, che debutterà in Italia alla Festa del Cinema di Roma, e Baumbach, che è stato in gara alla Mostra del Cinema di Venezia, sono targati Netflix. "Siamo sempre grandi sostenitori del del cinema in sala - spiega Rubin, parlando delle sfide per l'Ampas - è un'esperienza collettiva che non si può rimpiazzare, ma sosteniamo anche il crescente dialogo con le nuove forme di fruizione".

Sembra invece definitivamente archiviata l'idea di un Oscar per il miglior film popolare, annunciata e poi archiviata 'sine die' nel 2018, dopo una reazione molto negativa da parte di autori e stampa, che vedevano il nuovo premio come una sorta di 'ghetto' per i blockbuster: "Abbiamo capito che non era un Oscar poi così popolare - commenta sorridendo Dawn Hudson, facendo riferimento alle polemiche -. L'avevamo proposto per ampliare sempre più lo spettro dei generi dei film in gara agli Oscar ma i votanti ci hanno pensato da soli. Le candidature del 2019 sono state le più ampie come generi, da sempre". Resta l'incognita sul presentatore della serata di premiazione, prevista per il 9 febbraio 2020: l'edizione 2019 senza conduttore ha portato un lieve aumento di pubblico in tv rispetto al 2018, ma non è stata ancora ufficializzata una decisione sulla possibilità di ripetere la formula o tornare a un presentatore. Alla giornalista che gli fa una domanda sul tema, Rubin risponde con una battuta: "Lei sarebbe disponibile?".

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