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Ponte Genova, Maurizio Morandi: 'Un anno dopo profonda tristezza'

Il figlio del progettista: 'Troppo frettolosa scelta di abbatterlo'

"E' passato un anno da quando mio figlio Mattia mi telefonò a mezzogiorno del 14 agosto per comunicarmi che era crollato il Polcevera". Inizia così l'intervento di Maurizio Morandi, figlio del progettista Riccardo, sulla rivista 'Galileo' nel numero speciale dedicato al Ponte di Genova.

"Il nome ponte Morandi - puntualizza il professore - uscì nei giorni immediatamente successivi: non sapevamo che venisse chiamato così. Pensammo che col nome si iniziasse ad imbastire una possibile responsabilità del progettista. Con il passare delle ore la notizia divenne sempre più drammatica come sappiamo, l'elenco delle vittime diventava interminabile e la descrizione delle persone ce le rendeva sempre più penosamente vicine".

"Furono ore tremende - ricorda Morandi - caratterizzate dal dolore per la tragedia e segnate anche da un vago senso di colpa alimentato da una certa stampa e dal parere di alcuni tecnici, che poi si sarebbero rivelati non solo incompetenti ma anche tendenziosi: provavano infatti ad attribuire la responsabilità del crollo al progetto e di conseguenza al progettista".

"Tutto questo - attacca - è durato troppo anche se poi con più consapevolezza e minor clamore si è rivelata progressivamente la tendenziosità di interviste, pareri e ricostruzioni del genere".

Morandi ripercorre il movimento partito dal mondo accademico per mettere in luce, invece, il valore complessivo dell'opera di suo padre. In questi convegni, sottolinea, "cominciò ad essere possibile affrontare la tragedia anche da altri punti di vista che mettevano in evidenza la perdita di un'opera di particolare valore". Il ponte sul Polcevera, evidenzia per altro Morandi, all'epoca della sua costruzione, aveva avuto una grande importanza anche dal punto di vista della riqualificazione di quella zona di Genova. "Il ponte - ricorda - è stato particolarmente importante per la trasformazione della vallata in un paesaggio nuovo del quale il ponte è diventato simbolo, riconosciuto non solo dagli specialisti ma dagli abitanti del luogo e più in generale dagli abitanti di Genova. Per mio padre il maggior riconoscimento che avrebbe potuto desiderare".

"L'importanza del ponte per la città - evidenzia Morandi - è emersa durante i numerosi convegni che si sono susseguiti attorno a quella alternativa sostanziale che si è presentata subito dopo il crollo: demolire quello che era rimasto del ponte e ricostruire un nuovo ponte o restaurare il ponte originale rendendo sicure le parti rimaste in piedi e ricostruendo la parte crollata. A questo quesito ci sono state delle risposte immediate, forse un po' affrettate quando ancora il dibattito non aveva dissipato le ombre create ad arte sull'opera: veniva con insistenza proposto un nuovo ponte senza neppur considerare le implicazioni di tempo, denaro pubblico, disagio e inquinamento che erano connesse con la demolizione, senza considerare l'importanza dell'opera da demolire né come sostituirla".

Con un restauro - ragiona Morandi - si sarebbe potuta mantenere la memoria di quell'opera così come l'immagine del ponte come simbolo di un progresso che l'Italia ha attraversato negli anni 50 e 60 del secolo scorso. "L'immagine di morte che il ponte ancora trasmette - evidenzia - poteva essere trasformata in un monito per le conseguenze che l'incuria nell'uso e nella conservazione delle opere può determinare".

"Purtroppo - conclude - come sappiamo la proposta di restauro non è passata, dirò di più non è stata nemmeno presa in considerazione malgrado il susseguirsi di appelli e articoli diretti in tal senso. E' sembrato che la decisione per la demolizione fosse stata presa subito e non ci fosse intenzione di sentire opinioni che la mettessero in dubbio. Il ponte non c'è più e credo che questa scelta, anche per come è stata adottata senza discussione, sia una scelta che denuncia una scarsa consapevolezza culturale di coloro che stanno governando l'Italia in questo periodo storico".

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