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A tre anni dal rapimento nessuna verità su Regeni

A tre anni dal rapimento nessuna verità su Regeni

Non è rottura tra le procure ma le indagini sono in stallo

27 gennaio 2019, 19:27

di Rodolfo Calò

ANSACheck

Una marcia in ricordo di Giulio Regeni - RIPRODUZIONE RISERVATA

Una marcia in ricordo di Giulio Regeni - RIPRODUZIONE RISERVATA
Una marcia in ricordo di Giulio Regeni - RIPRODUZIONE RISERVATA

    Nel terzo anniversario del rapimento al Cairo di Giulio Regeni manca ancora la cosa principale: la verità. Sul fronte delle indagini si è in una situazione di dichiarato stallo, malgrado la cooperazione giudiziaria fra Italia ed Egitto, formalmente, non sia interrotta. Per riavviarla concretamente serve però una mossa sul piano delle indagini da parte egiziana e, nel complesso, una volontà politica che dovrebbe essere dettata da interessi comuni che spaziano dalla Libia al gioco geo-politico del gas. Questo almeno appare il quadro generale degli ultimi mesi sul caso del giovane ricercatore friulano rapito il 25 gennaio 2016 e ritrovato cadavere, con segni di orrende torture, il 3 febbraio sul ciglio di una strada alla periferia del Cairo.

Nel dettaglio continuano a trapelare indiscrezioni sul ruolo dei servizi segreti interni egiziani: 'La Repubblica' ha rivelato testimonianze di agenti e ufficiali della National Security Agency (Nsa) messe agli atti dell'inchiesta da cui, fra l'altro, emerge come la Nsa avesse archiviato - giudicandolo frutto di "elucubrazioni" - il tentativo del capo degli ambulanti cairoti, Mohammed Abdallah, di vedere in Regeni una "spia".

I pedinamenti però come noto continuarono e, rivelano ora tabulati telefonici, la Nsa il 25 gennaio contattò un capo di polizia distrettuale proprio all'ingresso della stazione della metropolitana in cui Regeni sparirà poche ore dopo. Nel complesso, di situazione bloccata parlò una decina di giorni fa al Copasir il procuratore di Roma, Giuseppe Pignatone. Lo stallo si era creato subito dopo il decimo incontro fra magistrati italiani ed egiziani svoltosi al Cairo il 28 novembre scorso: si apprese che i pm della Procura di Roma avrebbero iscritto nel registro degli indagati cinque ufficiali dei servizi segreti civili egiziani accusandoli di sequestro di persona.

La Procura generale egiziana fece sapere di non poter fare altrettanto non solo perché in Egitto manca un istituto analogo al registro degli indagati ma anche perché, a suo avviso, non vi sarebbero "solide" prove di colpevolezza per istruire un processo. L'iscrizione é stata vista in Italia come un segno che fosse stato ignorato l'"ultimatum" del vicepremier Luigi Di Maio, che ad agosto, aveva indicato nella "fine dell'anno" il termine entro cui assistere a una "svolta" del caso Regeni. Già il giorno dopo il presidente della Camera, Roberto Fico, annunciò la sospensione delle relazioni con il parlamento del Cairo. Agli atti resta però la dichiarazione fissata nel comunicato congiunto delle due procure sull'incontro del 28 novembre: "le parti hanno riaffermato la determinazione a proseguire le indagini e incontrarsi nuovamente nel quadro della cooperazione giudiziaria, sino a quando non si arriverà a risultati definitivi nell'individuazione dei colpevoli dell'omicidio di Regeni".

Impegno peraltro ribadito in più occasioni e anche con comunicati ufficiali dalla stessa Presidenza egiziana. Del resto la cooperazione giudiziaria con uno Stato straniero sul caso Regeni è senza precedenti in Egitto e supera quelle sull'attentato al charter turistico russo del 2015 e sull'inabissamento dell'Egyptair proveniente da Parigi del 2016. Per non parlare della quasi obliata morte del francese Eric Lang in un commissariato del Cairo nel 2013. Come esempi, al Cairo vengono solitamente portati la consegna, grazie all'azione dell'ambasciatore Giampaolo Cantini, nel dicembre 2017, del fascicolo giudiziario che la famiglia aveva reclamato invano per un anno e mezzo e l'analisi dei video della metropolitana cairota, sebbene inconcludente. Una soluzione del caso viene spesso auspicata da parte egiziana evocando più o meno esplicitamente motivazioni politiche come il ruolo dell'Italia nel dossier sulla Libia, ma anche economiche come l'obiettivo di fare dell'Italia la 'porta' europea sia del gas liquefatto prodotto da mega-giacimenti egiziani (ma molto probabilmente anche da quelli israeliani e ciprioti), sia della Nuova Via della Seta che, nella sua tratta marittima, passerà per il Canale di Suez. 

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