(ANSA) - ROMA, 16 OTT - Era l'inizio del 1980: di lì a pochi giorni, monsignor Oscar Romero, che oggi è stato proclamato santo da Papa Francesco, sarebbe stato assassinato mentre celebrava messa in una cappella della città di cui era vescovo, San Salvador. "Era una bella giornata di sole ed eravamo seduti proprio davanti ai gradini della chiesetta dell'ospedale che accoglieva i malati terminali, la stessa dove poi lo hanno ammazzato. Gli chiesi se avesse paura, viste le tante minacce e mi rispose con un'aria serena, che non poteva fare altro, non poteva scegliere diversamente. Mi disse che fare il prete in Salvador in quel momento significava stare in prima linea, dalla parte degli ultimi". A 38 anni di distanza, a raccontare quella intervista, l'ultima rilasciata da mons. Romero ad un giornalista, è Cenzino Mussa, storico inviato di 'Famiglia Cristiana'. Oggi, 82 anni, è in pensione nella sua casa a Genova. Ma scorre le immagini di quella giornata trascorsa con il vescovo dei 'campesinos' come se fosse oggi.
Cenzino Mussa racconta all'ANSA: "Lo andai a trovare e ci sedemmo sui gradini davanti alla chiesa. Lui aveva la sua veste bianca e il crocifisso di ferro al collo. L'aria come sempre affabile, cordiale. Sorrideva spesso monsignor Romero". "Mi ricordo che mi disse che questa di stare dalla parte degli ultimi era una scelta obbligata. La Chiesa tradirebbe il suo amore a Dio e la sua fedeltà al Vangelo, mi disse in quella conversazione, se smettesse di essere voce di quelli che non hanno voce, e non difendesse i diritti dei poveri. Aveva messo in conto che sarebbe stato ucciso".
Per questo oggi che il Papa ha proclamato santo colui che in realtà già da anni in America Latina chiamano 'San Romero', "immagino sia una giornata di grande festa in Salvador, soprattutto per i campesinos". Dall'altra parte del telefono poi un attimo di silenzio, la voce si incrina per la commozione: "E' una grande giornata di festa anche per me", dice il giornalista.
Poi Cenzino Mussa continua il suo racconto: "Romero era un uomo estremamente coraggioso. A parte quell'ultima intervista prima di morire, lo avevo incontrato tante volte. Mi ricordo che aveva fatto della sua residenza, al centro di San Salvador, un punto di accoglienza per le famiglie delle vittime della guerra. C'erano famiglie sia di destra che di sinistra e mi ricordo che una volta entrai nel cortile e un gruppo stava da una parte, un altro gruppo dalla parte opposta, come pronti ad attaccarsi. E invece Romero sapeva tenerli insieme".
Infine Mussa sottolinea come Romero fosse "un grande cronista. Cominciava tutte le omelie riferendo puntualmente, quando avvenivano aggressioni o omicidi" da parte degli 'squadroni della morte'. "Era estremamente preciso, il più meticoloso tra i cronisti che abbia mai conosciuto, descriveva con minuzia impressionante le nefandezze di quel regime. Voleva che la gente sapesse e anche che la sua Chiesa smettesse di chiudere gli occhi".(ANSA).