Un appello a che l'Italia ritrovi una "virtù" che l'ha sempre connotata, "l'accoglienza dell'altro", insieme a un 'no' deciso a odierne parole d'ordine come il "prima gli italiani". Rilevando che le "norme restrittive" sui migranti stanno generando maggiore insicurezza. Si confrontano senza timidezze o esitazioni con i punti-chiave dell'attuale quadro politico i vescovi del Lazio in una lettera ai fedeli per la solennità di Pentecoste, che sarà letta in tutte le messe.
Un documento, tra l'altro, non di secondo piano per quanto riguarda i 24 firmatari, dal momento che il presidente della Conferenza episcopale laziale è il card. Angelo De Donatis, vicario del Papa per Roma, il vice è il vescovo di Latina mons. Mariano Crociata, già numero due della Cei, e segretario mons. Guerino Di Tora, presidente di Migrantes.
I vescovi invitano a "una rinnovata presa di coscienza: ogni povero - da qualunque paese, cultura, etnia provenga - è un figlio di Dio. I bambini, i giovani, le famiglie, gli anziani da soccorrere non possono essere distinti in virtù di un 'prima' o di un 'dopo' sulla base dell'appartenenza nazionale". Rilevano che le "tensioni sociali" nei "nostri territori, legate alla crescita preoccupante della povertà e delle diseguaglianze, hanno raggiunto livelli preoccupanti". E manifestando la volontà di "essere accanto a tutti coloro che vivono in condizioni di povertà: giovani, anziani, famiglie, diversamente abili, disagiati psichici, disoccupati e lavoratori precari, vittime delle tante dipendenze dei nostri tempi", avvertono che "in tutte queste dimensioni di sofferenza non c'è alcuna differenza: italiani o stranieri, tutti soffrono allo stesso modo".
Per i presuli del Lazio, "da certe affermazioni che appaiono essere 'di moda' potrebbero nascere germi di intolleranza e di razzismo che, in quanto discepoli del Risorto, dobbiamo poter respingere con forza. Chi è straniero è come noi, è un altro 'noi': l'altro è un dono": una "granitica certezza" portata dal Vangelo e che "nessuno possa scalfire". Invitano, pertanto, ad "atteggiamenti di servizio nella testimonianza di una virtù che ha sempre caratterizzato il nostro Paese: l'accoglienza verso l'altro, soprattutto quando si trovi nel bisogno". "Proviamo a vivere così la sfida dell'integrazione che l'ineluttabile fenomeno migratorio pone dinanzi al nostro cuore: non lasciamo che ci sovrasti una 'paura che fa impazzire' come ha detto Papa Francesco, una paura che non coglie la realtà", esortano.
"L'accoglienza sia davvero la risposta ad una situazione complessa e non una soluzione di comodo (o peggio interessata)", proseguono, sollecitando le "comunità credenti" a respingere "accenti e toni che negano i diritti fondamentali dell'uomo, riconosciuti dagli accordi internazionali e soprattutto originati dalla Parola evangelica".
"Non intendiamo certo nascondere la presenza di molte problematiche legate al tema dell'accoglienza dei migranti, così come sappiamo di alcune istituzioni che pensavamo si occupassero di accoglienza, e che invece non hanno dato la testimonianza che ci si poteva aspettare", spiegano i vescovi. Ricordano tuttavia, con evidente richiamo al decreto sicurezza, "che quando le norme diventano più rigide e restrittive e il riconoscimento dei diritti della persona è reso più complesso, aumentano esponenzialmente le situazioni difficili, la presenza dei clandestini, le persone allo sbando e si configura il rischio dell'aumento di situazioni illegali e di insicurezza sociale".
L'"appello accorato" finale è a che "nelle nostre comunità non abbia alcun diritto la cultura dello scarto e del rifiuto", ma si affermi "una cultura 'nuova' fatta di incontro", di "ricerca solidale del bene comune", di "lotta condivisa alla povertà".